la crisi fermerà gli allargamenti?

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DarkWalker
00lunedì 23 febbraio 2009 20:19
QUELL'INCUBO D'EUROPA CHIAMATO EST

da repubblica


«Senza solidarietà, l'Europa non può esistere» diceva Helmut Kohl, uno dei padri dell'Unione Europea. Erano i tempi in cui una Germania in pieno boom economico pagava i conti di Bruxelles finanziando lo sviluppo dei Paesi più poveri e garantendosi così nuovi mercati in cui espandersi. Una strategia virtuosa, che si rivelò vincente sia per l'Europa, sia per l'industria tedesca, sia per il prestigio politico di una Germania che ancora pagava pegno al proprio passato. Ma oggi, di fronte alla crisi dilagante e al protezionismo rampante, quanto è ampio il perimetro della solidarietà europea? Quanto la lungimiranza dei suoi leader. Cioè, poco. Se la crescita economica è un fattore di integrazione e di omogeneizzazione, la recessione sta agendo in Europa come un pantografo delle disuguaglianze: le evidenzia e le enfatizza. Oggi sul continente, che fino a pochi mesi fa sembrava avviato trionfalmente verso il completamento dell'unificazione, si possono distinguere almeno tre nuove linee di demarcazione.
In primo luogo c'è quella che passa attraverso i membri della zona euro che, con l'eccezione della Slovenia, rappresentano in sostanza la Vecchia Europa. Qui la distinzione la fanno i mercati. Da una parte ci sono i Paesi considerati virtuosi: la Germania, i nordici, in misura molto minore la Francia. Dall'altra ci stanno i «pigs», che sarebbe l'acronimo (spregiativo, visto che in inglese pigs significa porci) di Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. Un tempo li chiamavano, sempre spregiativamente, «Club Med». Sono i paesi che, pur essendo entrati nell'euro (altra concessione solidale di Helmut Kohl), non riescono ad avere i conti pubblici in ordine. Al gruppo di pecore nere si è aggiunta recentemente l'Irlanda, travolta dal crollo dell'economia e dallo sgonfiamento della bolla immobiliare. In tempi di crisi, questi paesi pagano un prezzo salato ai mercati per la loro scarsa credibilità sotto forma di un alto differenziale dei tassi di interesse sui titoli di stato rispetto ai «Bund» tedeschi, che pure sono emessi nella stessa valuta. La Grecia è arrivata a pagare 3 punti percentuali in più. L'Irlanda 2,67. Gli altri seguono a scalare.
Fino a qualche settimana fa, nessuno tra i virtuosi dell'eurozona sembrava minimamente preoccuparsi per questa sperequazione. La filosofia che sta alla base dell'Unione monetaria stabilisce che la moneta è comune, ma i debiti di ciascun Paese sono affar suo. La tenuta dell'euro non è in pericolo, affermavano concordi Bruxelles e Francoforte. Anche perché sarebbe follia, per un Paese già penalizzato dai mercati, abbandonare il porto sicuro della moneta unica: il differenziale sui tassi schizzerebbe a valori di due cifre. Ma poi, la settimana scorsa, il ministro tedesco delle finanze, Peer Steinbruck si è visto costretto ad ammettere che la Germania è pronta ad intervenire, nel caso di "default" di qualcuno dei pigs, pur di garantire la tenuta della moneta unica.
Una ipotesi comunque remota, ma che non deve essere attribuita ad uno slancio di solidarietà alla Kohl. La ragione, piuttosto, sta nel fatto che le banche tedesche sono particolarmente esposte verso i «pigs». Solo nei confronti delle economie di Spagna, Italia e Irlanda, il credito tedesco ammonta a oltre settecento miliardi di euro. Altrettanto è l'esposizione nei confronti della Gran Bretagna, che non è nell'Unione monetaria, ma che non versa in condizioni molto migliori dell'Irlanda.
E qui si viene alla seconda linea di demarcazione che attraversa l'Europa: quella tra il club dell'euro e chi ne è escluso. Pur presentando qualche crepa nella sua coesione interna, la moneta unica ha infatti finora ampiamente protetto i suoi membri dagli effetti più devastanti della crisi.
Rispetto all'euro, non solo la sterlina, ma anche le monete dei nuovi membri dell'est europeo si sono svalutate dal trenta al cinquanta per cento in un anno, con una enorme perdita di ricchezza relativa. Anche il settore bancario, sia in Gran Bretagna sia nei Paesi dell'Est, ha accusato colpi molto più pesanti di quanto sia accaduto nella zona euro.
Ma nei confronti della «cerchia esterna» dell'Unione, finora, non è scattato nessun meccanismo di solidarietà comunitaria. I governi e la Bce hanno lasciato che il differenziale di cambio e quello sui tassi compensassero, anche con qualche eccesso, il divario tra la solidità dei sistemi economici.
Alcuni dei Paesi che finora erano rimasti fuori dalla moneta unica, ora vorrebbero accelerare la procedura di ingresso. La Polonia ha espresso informalmente il desiderio di entrare nell'ERM, il meccanismo che limita ad una fascia ristretta la fluttuazione delle valute rispetto all'euro (vi partecipano la Danimarca e la Svezia). Ma in piena crisi la volatilità dei mercati valutari è troppo elevata. Lo stesso discorso vale per la Gran Bretagna. E così, proprio come succede ai naufraghi, la tempesta che spinge a cercare un salvagente rende anche più difficile raggiungerlo.
Nei Paesi dell'Est europeo, la recessione assume forme tanto più dure quanto meno è sviluppato lo stato sociale. Quegli stessi elementi di flessibilità che fino a poco fa erano considerati la carta vincente della «nuova Europa», ora divengono un'aggravante che accelera la crescita della disoccupazione e rende più doloroso il costo sociale della crisi. La Banca Mondiale sollecita un piano di salvataggio europeo per i paesi più deboli. Ma anche su questo punto, da Bruxelles arrivano poderosi colpi di freno. Ed è lo stesso commissario agli affari economici, Almunia, a spiegare che l'Unione è disposta a considerare interventi a favore dei propri membri, ma non chi è fuori dall'Ue.
E questo è il terzo «muro» che sta crescendo in Europa. Paesi come la Turchia, la Serbia o l'Albania, e magari anche l'Ucraina, che aspiravano ad entrare a far parte dell'Unione, vedono aumentare la distanza dalla meta a velocità vertiginosa. Per chi è fuori dall'Ue, come l'Islanda, la crisi ha assunto connotazioni ancora più drammatiche. Ma la ristrettezza dei bilanci salassati dalla recessione fa sì che la fortezza Europa si arrocchi ancora di più. In tempi di protezionismo galoppante, la solidarietà, già pelosa nei confronti di chi è fuori della zona euro, scompare del tutto ai confini dell'Europa istituzionale. E' possibile che l'Islanda, appoggiata dai cugini scandinavi, riesca a prendere con la Croazia l'ultimo treno per Bruxelles. Poi le porte dell'Europa si chiuderanno. E, fino a che durerà la tempesta economica, resteranno saldamente sprangate.
-Kaname-chan
00mercoledì 25 febbraio 2009 10:14
Non mi pare un articolo molto preciso, l'Italia non è affatto messa male come la Spagna o l'Irlanda (o la Gran Bretagna) e le nostre banche sono molto più solide di quelle tedesche. Il differenziale dei tassi si può spiegare forse meglio così:

Rimane, invece, ancora elevato lo spread tra il decennale italiano e il Bund tedesco: attualmente attorno all'1,3 per cento. «Si tratta di un valore troppo elevato - dice Drusiani -, che non è giustificato dalle reali situazioni economico-finanziarie di Germania e Italia. Fino a prova contraria il sistema bancario tedesco sembra avere mostrato più fragilità di quello italiano». E quindi? «E quindi siamo di fronte ad una speculazione». Potrà essere, ma sul fronte del debito il Belpaese non è certamente messo bene. «Certo, non lo si può negare. Ma se guardiamo agli istituti di credito, all'indebitamento delle famiglie, la situazione in Italia non è tale da giustificare uno spread così alto. Lo ripeto, allo stato attuale delle cose dovrebbe essere più basso». ( www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza%20e%20Mercati/2009/02/bot-asta-titolidistato.shtml?uuid=ce9cb750-0269-11de-9fad-9a786367f95c&DocRulesVie... )
Malduin
00mercoledì 25 febbraio 2009 12:19
In momenti di crisi sono sempre penalizzate le economie meno forti rispetto a quelle più forti. La Germania è sempre considerata il "forziere sicuro" per cui in momenti di crisi è privilegiata anche se tiene interessi bassi (come anche gli USA ed il Giappone). Poi si, ci sono anche le speculazioni ed i riflessi politici....

Poi si potrebbero fare le solite storie.. "UE troppo debole" etc... chi negli anni passati è stato antieuropeista ora sta pagando un conto molto salato, direi tanto salato in proporzione a quanto è stato antieuropeista ;)
DarkWalker
00mercoledì 25 febbraio 2009 15:09
A me invece sembra che l'Italia è stata poco toccata dalla crisi, ma visto che la nostra economia era praticamente già in recessione prima di questo big bang gli effetti sono cmq più pesanti, e non avendo risorse cui attingere rischieremo di perdere anche il treno della ripresa che ivnece favorirà -ho letto da qualche aprte- proprio chi è stato più colpito.
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