Vecchia Europa, new music...post-punk, post-glam, post-Bowie.

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mirkosv@ro
00lunedì 3 gennaio 2005 22:45
Il mio cadeau augurale per il neonato 2005, caro forum, è un nuovo thread, dedicato al rock di periodo post-punk.

..
Questo thread è dedicato alla musica post-punk, alla new-wave, dark-wave e new-romantic nella vecchia Europa.
Più che ad alcune rock-bands fondamentali del periodo (ognuna delle quali forse meriterebbe una discussione a parte), questo thread è dedicato ad alcuni albums dell'epoca, alcuni in particolare, che nel colplesso, tutti assieme, raccontano quel passaggio epocale nella scena musicale europea che si verificò alla fine dei '70.
Soprattutto, è dedicato ad alcuni albums in cui è anche piuttosto semplice rintracciare l'influenza della musica di David Bowie (o del glam-rock in generale).
L'idea è quella di ricordare alcuni albums a mio avviso importanti, se non epocali, e di norma però poco noti ai più, nella speranza che alcuni tra voi - stimolati dalla curiosità - scelgano di ascoltarli.
E per chi già ama a sufficienza Bowie, credo sentirsi tentati da questa musica sia piuttosto semplice.
Anche perchè, se riviste musicali come il Melody Maker o New Musical Express l'hanno consacrato come l'artista più influente di sempre, ci sarà pure uno straccio di motivazione, perquanto enfatizzata ad hoc, che merita d'essere discussa, meditata, dubitata anche.
Fermo restando che di Bowie non si parlerà qui, se non molto tra le righe, essendo il forum già abbastanza gravato del fardello anche ingombrante del thread apposito sul Duca Bianco, aperto tempo fa da un noioso utente mio omonimo.
Lo scopo di questa discussione è piuttosto sempre quello di favorire nuove conoscenze musicali.
Percui passatemi il titolo un pò troppo enfatico e velletario del thread, ma la cosa mi divertiva e mi sembrava sufficientemente ironica.... fermo restando che la new-wave è stata molto di più di quanto verrà in questo thread rappresentato.
Qui raccoglierò - con il vostro aiuto e la vostra partecipazione critica, s'intende - un piccolo sunto, un estratto della nuova ondata musicale di fine '70, per lo più circoscritto alla britannia e dintorni.
Ci saranno alcune "recensioni" (o piccole schede informative sugli album in questione), che sceglierò di postare qui e non nell'apposita sezione del forum, perchè vorrei che ad ogni eventuale recensione seguisse un dibattito molto libero e largo, con le divagazioni più varie.
Perchè credo, per esperienza, che le più interessanti ed emozionanti scoperte musicali procedano seguendo divagazioni oblique, trasversali, ibride.
Pertanto evito la sezione apposita del forum, che invece è pensata per concentrarsi esclusivamente sull'album recensito, in maniera circoscritta.
Ed inoltre perchè vorrei che dalla sommatoria delle riflessioni che potranno scaturire all'ascolto di album diversi e di diverse rock-bands venisse fuori una sorta di immagine d'insieme, che raccontasse complessivamente, come un'istantanea musicale, un tassello importante del panorama rock di fine '70.
A tale scopo,mi è necessario un thread apposito, a parte, nuovo di zecca, che possa tenere tutte assieme, e vicine, le tessere del mosaico.
E' anche il mio augurio di un bel 2005 pieno di nuove scoperte musicali.
..
Che ne dite?
La proposta è di qualche interesse?

[Modificato da mirkosv@ro 03/01/2005 23.06]

VertigoMJ
00martedì 4 gennaio 2005 00:21
In questi giorni sto ascoltando i Japan, in particolare Gentlemen Take Polaroids, consigliatomi dal caro Velvet!

Eccolo qua:

mirkosv@ro
00martedì 4 gennaio 2005 01:30
...Tu e Velvet siete straordinariamente reattivi...ormai mi precedete, addirittura....siete all'avanguardia, qui dentro.

§Velvet§
00martedì 4 gennaio 2005 22:58
Eccomi qua'.. bellissima iniziativa Mirko, mi piace molto,
e poi' diciamoci la verita' il thread su Bowie sembrava un "troiaio"[SM=x125586]
e' bene tenere il thread del "papino" + pulito e dedicarlo esclusivamente a lui!!

Preparati perche' ti aspettano fiumi di domande[SM=x125591]


p.s.
Mi sono permesso di consigliare quel disco ad Alex poiche' ha un qualcosa di stampo berlinese..ed anche perche' era rimasto soddisfatto del SOUL di SUBURBAN LOVE.

Ad ogni modo Alex ha aperto le danze con il NEW ROMANTIC....
Vogliamo parlarne???
mirkosv@ro
00martedì 4 gennaio 2005 23:34
Re:

Scritto da: §Velvet§ 04/01/2005 22.58
Eccomi qua'.. bellissima iniziativa Mirko, mi piace molto,
e poi' diciamoci la verita' il thread su Bowie sembrava un "troiaio"[SM=x125586]
e' bene tenere il thread del "papino" + pulito e dedicarlo esclusivamente a lui!!

Preparati perche' ti aspettano fiumi di domande[SM=x125591]


p.s.
Mi sono permesso di consigliare quel disco ad Alex poiche' ha un qualcosa di stampo berlinese..ed anche perche' era rimasto soddisfatto del SOUL di SUBURBAN LOVE.

Ad ogni modo Alex ha aperto le danze con il NEW ROMANTIC....
Vogliamo parlarne???



...sapevo che avrei trovato il tuo consenso, Maggiore.
...anche se a me il Thread su Bowie non dispiace con tutte quelle divagazione sulle innumerevoli parentele musicali del nostro, ho aperto quest'altra discussione appunto per assorbire qui una parte di quelle necessarie "esplorazioni".
Il mio modesto obbiettivo è quello di dimostrare l'influenza enorme del Bowie musicista, senza parlare di Bowie (non direttamente, almeno)...anzi direi parlando di Bowie il meno possibile...il ke è già una contraddizione, visto che ne stiamo parlando. Scherzi a parte, mi divertirò con un pò di sana new-wave europea nei prossimi mesi su queste pagine.
..
Anch'io avrei consigliato ad Alex così su due piedi proprio Gentlemen Take Polaroids.
I Japan mi sembrano proprio la band più pseudo-bowiana dell'intero filone.

"Gli inglesi sono gentiluomini che scattano polaroids....quando non considero il colonialismo, li saluto con riconoscenza"
...ecco, questo sarebbe il giusto sottotitolo che darei a questo thread, se non fosse per l'eccessiva prolissità.

alla prox.



VertigoMJ
00mercoledì 5 gennaio 2005 01:00
Va benissimo cominciare col New Romantic, anzi per me è anche più istruttivo, perchè dei Japan e Sylvian conosco ancora pochi lavori.

Inoltre volevo dire che trovo la new wave interessantissima perchè piena di sfaccettature, richiami al passato, e proiezioni vertiginose verso il futuro...

Prima di andare a nanna, però, volevo fare un'osservazione sulla mia cara Nico, che tanto sto ascoltando in questo periodo: e cioè, che in fondo può essere considerata la madre del lato oscuro della new wave, che pure è importantissimo. E' vero, Nico resta pur sempre un genere a sè, e forse album come Low e Heroes di Bowie, ad esempio, potrebbero surclassarla per quanto riguarda l'ambito della paternità, ma mi risulta difficile immaginare tanta musica successiva, senza la sua presenza, e senza il suo preziosissimo lavoro coi Velvet.
La parte "gotica" della new wave cmq mi piace molto, ad esempio i Joy Division, ma anche i Suicide, di cui però conosco soltanto l'omonimo album, ascoltato per ovvi motivi "di carattere berlinese".
mirkosv@ro
00mercoledì 5 gennaio 2005 08:44
Messa da parte l'enorme influenza che il dittico berlinese LOW/HEROES ha avuto sull'intero filone del new-romantic e sulla dark-wave europei, se c'è una band del passato che ha smisuratamente influenzato il suono della new-wave behh...questa band si chiama appunto Velvet Underground.
In primo luogo fondamentali per il post-punk americano.
Anche se l'opera di Nico è difficilmente ascrivibile ad un filone o una moda, non c'è dubbio che la solenne oscurità dei suoi lavori sia stata fonte di ispirazione per la creazione del tipico suono dark.
Alla fine dei '70, Nico era considerata nei club europei più raffinati ed all'avanguardia come un'icona, un personaggio di culto.
SmoothCriminal
00mercoledì 5 gennaio 2005 14:32
Re:

Scritto da: VertigoMJ 04/01/2005 0.21
In questi giorni sto ascoltando i Japan, in particolare Gentlemen Take Polaroids, consigliatomi dal caro Velvet!

Eccolo qua:




Dei Japan non conosco proprio niente ...........però per rimediare sto per cimentarmi con Oil on canvas.

Credo che questo topic sarà molto interessante e istruttivo ....visto che da parte mia di questo genere musicale + affiliati conosco poco.

Grazie Svaro [SM=x125585]
XAndre@X
00mercoledì 5 gennaio 2005 14:44
Vi leggo con estremo interesse.........

mirkosv@ro
00mercoledì 5 gennaio 2005 14:51
Re: Re:

Scritto da: SmoothCriminal 05/01/2005 14.32
...........però per rimediare sto per cimentarmi con Oil on canvas.




...se non sbaglio è un doppio antologico dell'83...con questa tracklist:

Oil on Canvas
Sons of Pioneers
Gentlemen Take Polaroids
Swing

Cantonese Boy
Visions of China
Ghosts
Voices Raised in Welcome, Hands Held in Prayer

Nightporter
Still Life in Mobile Homes
Methods of Dance

Quiet Life
The Art of Parties
Canton
Temple of Dawn


...ma per cominciare va bene.
mirkosv@ro
00mercoledì 5 gennaio 2005 14:52
Re:

Scritto da: XAndre@X 05/01/2005 14.44
Vi leggo con estremo interesse.........



Thx...ci tengo molto.

[SM=x125585]
§Velvet§
00mercoledì 5 gennaio 2005 15:07
Re: Re: Re:

Scritto da: mirkosv@ro 05/01/2005 14.51


...se non sbaglio è un doppio antologico dell'83...con questa tracklist:

Oil on Canvas
Sons of Pioneers
Gentlemen Take Polaroids
Swing

Cantonese Boy
Visions of China
Ghosts
Voices Raised in Welcome, Hands Held in Prayer

Nightporter
Still Life in Mobile Homes
Methods of Dance

Quiet Life
The Art of Parties
Canton
Temple of Dawn


...ma per cominciare va bene.




No Mirko credo che Oil Canvas sia un LIVE, infatti suscita molto il mio interesse....

[Modificato da §Velvet§ 05/01/2005 15.07]

mirkosv@ro
00mercoledì 5 gennaio 2005 15:15
hai ragione...dev'essere un live...anche se non sono riuscito a capire dove l'abbiano registrato. Qualcuno lo sa?
SmoothCriminal
00mercoledì 5 gennaio 2005 17:27
Japan - Oil on Canvas

Lo scioglimento dei Japan dovuto a insolvibili dissidi personali nel 1982 lasciò un vuoto incolmabile: il movimento neoromantico aveva perso i suoi mentori, nonché uno dei gruppi che meglio avevano saputo esprimere le potenzialità di questo genere, il quale avrebbe via via perso molta della sua inventiva, orientandosi verso i lidi di un assai più banale pop usa e getta.
L’anno successivo allo split uscì tuttavia “Oil on Canvas”, l’unica collezione riguardante la band che chi vi scrive ritenga avere un senso – molto più della piatta “Exorcising Ghost” che la seguì. Ciò che “Oil on Canvas” offre di peculiare è il fatto di essere una raccolta dal vivo, e allo stesso tempo l’unica release live che il combo capitanato da David Sylvian abbia mai dato alle stampe: questo fatto si concretizza in un grosso punto a favore per il disco – inizialmente uscito come doppio LP - che si eleva dallo status di semplice raccolta facendoci conoscere un lato dei Japan che ormai non possiamo più verificare.
"Oil on Canvas" è quindi una release importante che non può certo mancare a un loro fan, ma che può essere a tutti gli effetti consigliata anche a coloro i quali ancora non conoscono il gruppo. In essa l'ascoltatore può apprezzare la grandissima voce di David Sylvian dal vivo, capace di emozionare ancor più che su una release in studio se vogliamo, perfettamente coadiuvata delle tastiere del grande Richard Barbieri - oggi forse più noto per la sua attività coi Porcupine Tree di Steve Wilson - e del bravo batterista Steve Jansen, senza per questo dimenticare l'onesto lavoro del bassista Mick Karm e del chitarrista Rob Dean.
Purtroppo nell'edizione dell'album a nostra disposizione - quella originaria del 1983 - non sono presenti molti credits e non possiamo sapere dove e quando (anche se possiamo dedurre che fosse durante il tour di "Tin Drum") siano state registrate le varie canzoni: una lacuna che speriamo sia stata colmata nella riedizione uscita nel 2003, se non altro per soddisfare i fan più esigenti.
“Oil on Canvas” ad ogni modo contiene delle esibizioni di tutto rispetto dei migliori pezzi tratti dagli ultimi due album della band, quelli divenuti pure i più celebri negli anni successivi: “Gentleman take Polaroids” del 1980 e “Tin Drum” del 1981, riproposti mirabilmente soprattutto grazie alla maestria di Sylvian, Jansen e Barbieri, le autentiche colonne portanti dei Japan dal vivo, enorme il primo con la duttilità e la delicatezza della sua voce, indispensabili gli altri due per il modo perfetto in cui riescono a ricostruire con minuzia le atmosfere degli album in studio – ascoltate “Nightporter”, “Visions of China” o “Methods of Dance”, solo allora potrete capire la raffinatezza e la bravura di questi artisti.
In aggiunta, vi sono tre inediti strumentali dal vivo: la opener “Oil on Canvas”, l’intermezzo “Voices raised in welcome, hands held in prayer” e la conclusiva “Temple of Dawn” (conoscendo Sylvian, potrebbe benissimo essere un omaggio all’omonimo romanzo di Yukio Mishima).
Un live riuscito sotto molti aspetti, che presenta a nostro avviso solo una lacuna: esclude i brani degli album usciti nella seconda metà degli anni ’70, per via della "solita" questione di diritti d’etichetta. Infatti, quegli album uscirono per la BMG, mentre invece gli ultimi due – “Oil on Canvas” incluso – sono sotto la Virgin. Un fatto a cui non è stato provveduto neppure con la riedizione dell’album, che - digipak bellissimo a parte - offre a quanto ci risulta i medesimi contenuti della vecchia edizione, divisi però in due CD.
Ad ogni modo, qualsiasi edizione decidiate di acquistare, si tratta di una release di eccellente fattura che i fan dei Japan devono assolutamente possedere, e che si può benissimo consigliare anche a chi fosse completamente a digiuno riguardo a questo storico act, per riuscire a farsi un'idea.

Autore: Fabio Rezzola
SmoothCriminal
00mercoledì 5 gennaio 2005 17:29
Re:

Scritto da: mirkosv@ro 05/01/2005 15.15
hai ragione...dev'essere un live...anche se non sono riuscito a capire dove l'abbiano registrato. Qualcuno lo sa?



è una compilation live ...............
.........per i luoghi :

"...Purtroppo nell'edizione dell'album a nostra disposizione - quella originaria del 1983 - non sono presenti molti credits e non possiamo sapere dove e quando (anche se possiamo dedurre che fosse durante il tour di "Tin Drum") siano state registrate le varie canzoni: una lacuna che speriamo sia stata colmata nella riedizione uscita nel 2003, se non altro per soddisfare i fan più esigenti... "
mirkosv@ro
00sabato 8 gennaio 2005 13:19


...Ho postato una mia "recensione" di LIFE IN A DAY, l'album d'esordio dei SIMPLE MINDS...
...nell'apposita sezione (clicca QUI).

...a voi i commenti.

ciao.

[Modificato da mirkosv@ro 08/01/2005 16.07]

VertigoMJ
00domenica 9 gennaio 2005 14:14
Mirko i Simple Minds non li ho ancora ascoltati...
In compenso però, per farmi perdonare, guarda stamattina con cosa mi sono svegliato:



REMAIN IN THE LIGHT (1980), by Talking Heads.[SM=x125607]

Born under punches, Crosseyed and Painless, ecc., sono tutte e otto molto interessanti e mi hanno messo davvero di buon umore! Se volete poi scriverò qualcosa di mio su questo disco.
Presto ascolterò anche il loro FEAR OF MUSIC, del 1979, da quello che ho letto in giro mi sembra molto "world" (poi è coetaneo a Lodger).
Certo però quante cose di cui parlare...[SM=x125616]

[Modificato da VertigoMJ 09/01/2005 14.24]

mirkosv@ro
00domenica 9 gennaio 2005 17:06
Re:

Scritto da: VertigoMJ 09/01/2005 14.14



REMAIN IN THE LIGHT (1980), by Talking Heads.[SM=x125607]

Born under punches, Crosseyed and Painless, ecc., sono tutte e otto molto interessanti e mi hanno messo davvero di buon umore! Se volete poi scriverò qualcosa di mio su questo disco.
Presto ascolterò anche il loro FEAR OF MUSIC, del 1979, da quello che ho letto in giro mi sembra molto "world" (poi è coetaneo a Lodger).



Disco prodigioso. Le teste parlanti SONO la new-wave. Nessuna band è più importante di loro nell'evoluzione sperimentale del genere. Brian Eno come membro aggiunto, la dice tutta.
tra l'altro l'iconoclastia della copertina è passata alla storia.

FEAR OF MUSIC è un'altro capolavoro, senza il quale non avremmo mai avuto LODGER. Uno di quei rari casi in cui Bowie segue invece che anticipare.
Mi piacerebbe davvero molto se te la sentissi di scrivere qualcosa su uno dei loro album, Alex.

P.S: i Simple Minds hanno sfornato album interessanti ma probabilmente mai pietre miliari come invece altre bands più importanti hanno fatto. Però quel disco mi sento di consigliarlo perchè è piacevole e sufficientemente semplice da comprendere, e racconta bene il tipo di suono egemone in Inghilterra.
..La new-wave americano l'ho sempre taciuta volontariamente perchè è molto più complessa della sua controparte europea...ma chiaramente te sei ad un livello tale di maturità e sensibilità musicale che puoi tranquillamente goderti anche i prodigi della scuola newyorkese. [SM=x125607]

[Modificato da mirkosv@ro 09/01/2005 17.17]

VertigoMJ
00domenica 9 gennaio 2005 20:22
Re: Re:

Scritto da: mirkosv@ro 09/01/2005 17.06


Disco prodigioso. Le teste parlanti SONO la new-wave. Nessuna band è più importante di loro nell'evoluzione sperimentale del genere. Brian Eno come membro aggiunto, la dice tutta.
tra l'altro l'iconoclastia della copertina è passata alla storia.

FEAR OF MUSIC è un'altro capolavoro, senza il quale non avremmo mai avuto LODGER. Uno di quei rari casi in cui Bowie segue invece che anticipare.
Mi piacerebbe davvero molto se te la sentissi di scrivere qualcosa su uno dei loro album, Alex.




Non vedo l'ora di ascoltare FEAR OF MUSIC a questo punto, e magari di confrontarlo con REMAIN IN LIGHT.
Quanto a quest'ultimo vorrei cominciare col dire quali sono stati i pezzi che inizialmente mi hanno colpito...
Il primo pezzo, “Born Under Punches”, dall'aria funky, rivela palesemente ciò che i Talking erano abili nel rivoluzionare, ovvero il ritmo. Inoltre, attorno al suo svolgimento ipnotico, si levano versi di animali esotici, i quali mi ricordano la giungla folle di Frank Zappa.
La questione del ritmo poi, prosegue e si amplifica in “Crosseyed and Painless” (con un ricchissimo gioco di basso) e in the “The Great Curve”, all’apice del barocco, dove il piatto forte è sicuramente lo strabiliante intreccio di cori.
Irresistibile, poi, “House In Motion”, in cui ci troviamo addirittura di fronte a un pezzo reggae quasi robotico… Esso però è ancora più prezioso se si pensa che contiene i fiati (simili a barriti di elefante) di Jon Hassell, il preveggente autore di capolavori assoluti della world music, come il naturalistico Vernal Equinox (1977) e il fantastico Dream Theory in Malaya (1981).
Mi ha colpito molto anche l’ultima traccia, “Overload” che mi ha subito riportato alla mente la greve atmosfera di “Saeta” di Nico.
Un album imperdibile per tutti gli amanti della musica, da ascoltare con la consapevolezza del rischio (e del privilegio) di rimanerne stregati.

[Modificato da VertigoMJ 09/01/2005 20.24]

VertigoMJ
00domenica 9 gennaio 2005 21:37
Serata a casa: rimando il film che mi ero promesso di vedere a più tardi, perchè adesso sto ascoltando questo MONUMENTO:

L'ho aggiunto perchè è questo lo spazio in cui discuterne, ma prometto di non dire nulla per il momento, ne parleremo nei prossimi giorni, altrimenti non ci raccapezziamo più con tutti questi begli album...[SM=x125616]
XAndre@X
00domenica 9 gennaio 2005 22:12
Re:

Scritto da: VertigoMJ 09/01/2005 14.14
Mirko i Simple Minds non li ho ancora ascoltati...
In compenso però, per farmi perdonare, guarda stamattina con cosa mi sono svegliato:



REMAIN IN THE LIGHT (1980), by Talking Heads.[SM=x125607]

Born under punches, Crosseyed and Painless, ecc., sono tutte e otto molto interessanti e mi hanno messo davvero di buon umore! Se volete poi scriverò qualcosa di mio su questo disco.
Presto ascolterò anche il loro FEAR OF MUSIC, del 1979, da quello che ho letto in giro mi sembra molto "world" (poi è coetaneo a Lodger).
Certo però quante cose di cui parlare...[SM=x125616]

[Modificato da VertigoMJ 09/01/2005 14.24]




Posseggo anche io questo disco.....posterò i miei pareri in questi giorni......quello dei Pere Ubu mi manca invece.....[SM=x125603]

mirkosv@ro
00domenica 9 gennaio 2005 22:58
ragazzi..il vostro entusiasmo è trascinante!!

Per quanto riguarda il sound incredibile di REMAIN IN LIGHT non mi stancherò mai di fare l'elogio di Eno e di Adrian Belew.
Eno convocò parecchi musicisti d'eccellenza per supportare i Talking Heads...Adrian Belew per l'appunto...ma anche Nona Hendrix, Bernie Worrell, Steve Scales…
I barriti della chitarra zoomorfa di Belew sono semplicemente anni luce avanti rispetto qualsiasi uso accademico dello strumento fino ad allora.
Non a caso Eno lo propose a Bowie anche per Lodger.
..
Byrne poi mi fa impazzire...credo sia la voce maschile più sciamanica del decennio...una sorta di contraltare tribale della vocalità adamantina di Nico.
..
Sugli Ubu poi non dico niente...semplicemente folli e colossali.
§Velvet§
00lunedì 10 gennaio 2005 10:46
Come al solito avete suscitato l'interesse di tutti, poi come ho sentito nominare Lodger non ho resistito, sto ascoltando FEAR OF MUSIC in questo momento. MMMMMMMMMMMMMMM le mie orecchie sono deliziate... GRAZIE GRAZIE GRAZIE[SM=x125592]
mirkosv@ro
00lunedì 10 gennaio 2005 19:11
A CLUB FOR HEROES
Gli anni '80 si affermano come tra i più vivaci nella storia del panorama musicale e della cultura giovanile.
Eppure, ancora oggi, come all'epoca, numerosi "puristi" della musica li riducono ad un fenomeno da poco: come commerciali, fatui, superficiali, l'emblema dell'immagine che trionfa sulla sostanza.
Ma in realtà le cose sono assai più complesse da definire.

Il decennio precedente si era concluso con l'avvento del PUNK, la carica distruttrice (anche di se stessi) dei Sex Pistols e dei Clash e con dall'altra parte, la feconda affermazione della scena ska dove si affermano bands come i Madness e The Specials.

Dal punto di vista politico, nell'Inghilterra del 1979, tra proteste e instabilità sociale, alle elezioni trionfa la signora Thatcher, la "lady di ferro".
E' l'inizio di una nuova era per il Paese: tagli sociali, tagli alla cultura, disoccupazione al galoppo.
Ebbene questa situazione non può non avere ripercussioni sulla scena artistica.
Nel 1980 è come se la gioventù britannica reagisse ai problemi, all'impoverimento e alle tensioni sociali con un surplus di stile, di eleganza, di espressione, di innovazione musicale. Vengono rielaborati looks futuristici e caricature dandyane, maquillages da Pierrot Lunaire e capigliature impeccabili quanto stupefacenti.

Musicalmente, a fare la differenza c'è l'affermazione dei sintetizzatori, rapidamente disponibili a prezzi più accessibili, cosicchè ogni teenager d'Inghilterra e non solo diviene in grado di fare musica da solo con la propria tastiera.
Si affermano la MS-20, il Mono/Poly e il DX7, tutti in grado di offrire dei nuovi e stimolanti effetti sonori.
Il punk aveva già liquidato e dismesso l'approccio tradizionale verso la chitarra, facendosi beffa di due generazioni di rock'n'roll ridottesi a caricatura di quello che si erano in precedenza proposte di combattere.
E così, dal 1976/77 in poi, era esplosa una scena musicale basata sul fai-da-te, su un'apposita scarsa conoscenza musicale, su di un'immagine provocatoria, estrema, nuova.

LA scena "New Romantic" riprende alcuni ingredienti fondamentali del punk, anzi possiamo dire che essa sia giglia, o diretta discendente, del punk stesso.
Essa nasce da quella frangia punk più sensibile verso la moda, quella di Viviene Westwood, dei vestiti creati da sè (come nel leggendario negozio 'Oasis' di Birmingham, dove per qualche tempo, prima di divenire famosi, lavorarono anche un tale Boy George e Martin Dingwall dei Sigue Sigue Sputnik, i quali cercavano di affermarsi come designer di bondage trousers e cappelli muniti di spille da balia), e dall'ammirazione per quegli artisti che con il loro stile androgino e provocatorio avevano spopolato negli anni tra il '72 e il '74, i glammers come Bowie, i Roxy Music di Eno e Bryan Ferry, i T-Rex, i New York Dolls.
E così, già nel giugno 1978, Steve Strange e il dj Rusty Egan iniziano la leggenda aprendo il club "Blitz" (che oggi esiste ancora con il nome di 'Gossips', nel quartiere londinese di Soho).

Il punk era ormai divenuto "sicuro", aveva perso la sua carica culturalmente genuina e piena d'ironia divenendo meramente sboccato, assimilato dal 'mainstream', fino al punto che i tabloids come il Sun illustravano come farsi un piercing con le spille da balia. Coloro che inconsapevolmente stavano per creare la nuova scena si spingevano già in avanti tra eyeliners e capelli cotonati a sfidare la legge di gravità.
"Ottenere una reazione era l'obiettivo finale", confesserà Boy George 15 anni più tardi, dal momento che è l'espressione il comune denominatore dei frequentatori del "Blitz", mentre la musica diviene solo una parte, per quanto cruciale, di una serie di fattori.

La serata d'esordio del "Blitz" recita "Bowie Night : A Club for Heroes" e si basa su alcuni dischi di avanguardia elettronica che provengono dagli Stati Uniti (Suicide) e dal continente (i tedeschi Kraftwerk e DAF), e sul suddetto glam-rock. Ma Londra non è la sola.
A Birmingham c'è il club Barbarella in Broad Street e anche Sheffield inizia a veder fiorire due o tre clubs affollati da specie di "similpunk" in vena di presenzialismo da nightclubbers...con dosi massicce di trucco e gruppi che suonano una musica minimale, ossessiva, oscura e priva di chitarre (è qui che si afferma la prima formazione degli Human League).

Spiega Simon Le Bon, presto una celebrità come cantante dei Duran Duran :"Penso che tutti fossero disperati affinchè ci fosse in quel momento un nuovo movimento culturale giovanile. Di sicuro aggiungemmo colore. Era tutto molto grigio e noi vi aggiungemmo colore".
I nuovi gruppi musicali iniziano ad avere un approccio totalmente diverso; i nascenti Spandau Ballet, a Londra, scelgono, di proposito, di fare concerti in luoghi non tradizionalmente destinati alla musica, come cinema o teatri.
E così, nell'arco di pochi mesi, l'attenzione dei giornalisti è puntata su questo club, il "Blitz" popolato da esseri inusuali, androidi multicolori ed esagerati, dai tratti e dai vestiti androgini, come illustra Malcolm McLaren: "Ragazzi che potevano sembrare ragazze, che a loro volta apparivano come ragazzi".

L'arredamento del Blitz, fuori dal quale le file si allungano di settimana in settimana, riflette temi che faranno tutti parte del bagaglio visivo "New Romantic": un misto di decadenza europea da anni '30, immagini futuristiche, musica che ha un qualcosa di robotico , ma che è al tempo stesso ballabile, e con la novità di essere su di un'altra dimensione rispetto a quello che fino a questo momento era stato conosciuto come disco. Appropriate sono le parole di Marc Almond dei Soft Cell, un altro dei gruppi cardine dell anuova scena :"Eravamo molto 'ora', e molto nostalgici allo stesso tempo".

Nel 1980, sono proprio Steve Strange e Rusty Egan del "Blitz" a tirar fuori dal cilindro un hit che da molti verrà considerato come la pietra miliare del decennio: Fade To Grey, un manifesto di musica decadente, elettronica, ballabile e introspettiva allo stesso tempo. Il duo, infatti, aveva nel frattempo anche dato vita al progetto dei Visage (propriamente un nome che richiama moda e look), e per la prima volta, la fama di un gruppo nascente si misurava più attraverso le riviste di moda (come The Face) che non sui tradizionali giornali musicali.
Gli Spandau Ballet pubblicano la gelida To Cut A Long Story Short, che nel Dicembre dell'80 scala la top 20, e gli Orchestral Manouvres In The Dark, da Liverpool, pubblicano la fantastica Enola Gay, aggiungendo una dimensione ulteriore al sound della New Wave.

Ma è tutto un fiorire di bands basate sull'elettronica e su di un'immagine ricercata e coraggiosa: a Birmingham iniziano ad emergere i Duran Duran, che nell'arco di due anni saranno la band più famosa del pianeta, poi ci sono gli spettrali Classix NOveaux che, a conferma di quanto descritto, nascono proprio dalle ceneri di un gruppo punk, gli X-Ray Spex.
Ancora, ci sono gli ABC da Sheffield, guidati da Martin Fry, che certamente (come Le Bon, David Sylvian e molti altri) deve qualcosa a Bryan Ferry con i suoi lussuosi completi, tra cui il leggendario vestito di lamè d'oro.

di Claude Carpentieri

[Modificato da mirkosv@ro 10/01/2005 19.12]

VertigoMJ
00lunedì 10 gennaio 2005 20:41
Re:

Scritto da: mirkosv@ro 10/01/2005 19.11
Gli anni '80 si affermano come tra i più vivaci nella storia del panorama musicale e della cultura giovanile.
Eppure, ancora oggi, come all'epoca, numerosi "puristi" della musica li riducono ad un fenomeno da poco: come commerciali, fatui, superficiali, l'emblema dell'immagine che trionfa sulla sostanza.
Ma in realtà le cose sono assai più complesse da definire.

Il decennio precedente si era concluso con l'avvento del PUNK, la carica distruttrice (anche di se stessi) dei Sex Pistols e dei Clash e con dall'altra parte, la feconda affermazione della scena ska dove si affermano bands come i Madness e The Specials.





Presente!
Ammetto di essere diventato uno di quegli antipatici puristi di cui sopra,[SM=x125591] ma è pur vero che gli anche gli anni'80 hanno sfornato qualche disco molto interessante...
Innanzitutto la new wave aspetterà fino all'84 per esaurirsi davvero, ed i suoi strascichi comunque proseguiranno, soprattutto per quanto riguarda il filone più dark (i Dead Can Dance, con il loro "ethno-gothic" simile alla "dark-wave" dei Joy Division pubblicano il loro capolavoro addirittura nell'85).
Nick Cave ha prodotto nella prima metà di quegli anni i suoi dischi più emblematici ed interessanti: vedi from Her To Eternity, ad esempio, o The Firstborn is dead).
Sono stati gli anni del grande "pop" di Thriller di Michael Jackson, gli anni del Purple Rain di Prince.
Sono stati gli anni dei Metallica, che, al di là dei gusti, hanno pubblicato un disco come Master of Puppets che è davvero grandioso considerando il genere.
E ancora Peter Gabriel, che addirittura alla fine di quegli anni, precisamente l'89, ci regala un disco come Passion.
Che dire? io resto ancorato ai '70, sarà anche per gusti personali, ma ho l'impressione che alla fine di qeul decennio i giochi fossero già fatti o quasi.
Cmq è pur vero che ciò che rende antipatici gli '80 è l'enorme avanzata, la pressione, il dispotismo delle case discografiche e delle loro vendite plurimilionarie, che hanno portato anche grandi artisti come Bowie and interrogarsi sul clima che li circondava, forse non proprio consono al loro genio.
Secondo me bisogna fare anche una distinzione sugli anni '80 pop, appunto (pop inteso come intenzione di vendere), e su quelli che hanno visto andare avanti artisti che cmq hanno continuato un loro preciso percorso di studio, tipo Foetus o Cave, per l'appunto.
Qualcuno è d'accordo con me? [kenny]
mirkosv@ro
00martedì 11 gennaio 2005 10:49
Re: Re:


d'accordissimo, Alex....i primi '80 - quelli neoromantici - sono stati anni interessanti e fertili.
La tua analisi è molto obbiettiva.
Per il resto, la maggior parte delle colpe le imputerei anch'io alle major discografiche, che con le loro scelte miopi e banali, e il loro dispotismo che non ha lasciato sufficiente libertà agli artisti, hanno permesso il predominio commerciale della pop-music, ad oggi ahimè la musica più ascoltata e conosciuta sulla terra.
La musica è diventata così soprattutto marketing.
Il mercato è diventato di tipo "videomusicale".
...etc etc...

[Modificato da mirkosv@ro 11/01/2005 10.49]

mirkosv@ro
00martedì 11 gennaio 2005 20:47
BUZZCOCKS


Intervista a Pete Shelley

I Buzzcocks si sono riformati nel 1989, dopo otto anni: non riuscivi a stare lontano dal gruppo?

Le canzoni che abbiamo registrato quand'eravamo giovani significano molto per alcuni. Da quando mi collego su Internet, ci sono tante persone che mi scrivono, mi raccontano la loro vita, quanto sono stati importanti i Buzzcocks. Avevo completamente voltato le spalle a quella avventura, avevo lasciato Manchester per Londra. Steve Diggle, il nostro chitarrista, ogni tanto mi proponeva di riunirci. Gli dicevo "D'accordo, ma a una sola condizione: che tu riesca a mettere in piedi il gruppo con gli stessi membri di quando ci siamo separati". Non era un grosso rischio, perché sapevo che il bassista Steve Garvey aveva messo su famiglia negli Stati Uniti, il batterista John Maher si occupava solo dei dragsters che lui stesso costruiva. Non avevo alcun interesse a riaprire la questione, mi sembrava triste e inutile. Poi sei anni fa Steve Diggle ha forzato la mano riformando da solo il gruppo. Si è sparsa la voce che i Buzzcocks sarebbero ritornati, dei promoters americani erano disponibili a investire una fortuna per organizzare un tour: tre settimane a condizioni molto favorevoli. Uno dopo l'altro abbiamo messo da parte i rancori e siamo ripartiti insieme. Comunque non mi mancava.

Avevi rinunciato alla musica?

Provavo con la techno... Deluso dall'avventura Buzzcocks e dall'insuccesso dei miei album solisti, ero tentato di abbandonare la musica. Ma non so fare nient'altro. Tutti gli altri lavori necessitano che ci si alzi presto e questo è al di sopra dei miei mezzi. Non ho mai sopportato una vita organizzata, seguo solo il mio piacere. E certe volte anche la musica diventa una routine... persino nel momento in cui i Buzzcocks erano sulla cresta dell'onda mia madre mi chiedeva "Quando troverai un vero lavoro?". Alla fine ha capito che ero un vero artista. Una stronzata o no? (ride). Mi considero come un ballerino: il piacere di creare è fisico, mi sento diventare leggero e grazioso. Cantare mi dà una gioia immensa, sono triste per la gente che si limita soltanto ad ascoltare la musica. Continuerei a cantare anche solo per me stesso.

Molti gruppi influenzati dai Buzzcocks hanno raggiunto il successo. Provi gelosia?

A metà degli anni '80 sentivo che l'unico motivo per cui Steve Diggle voleva riformare il gruppo era di rimettere a posto le cose con i nostri eredi. Per me il fatto di sapere che le nostre canzoni erano state importanti per quei ragazzi mi bastava. È nella logica delle cose, sei sotto i riflettori e, in un attimo, devi lasciare il tuo posto. L'ombra non mi ha mai fatto paura. Perché ero convinto che la gente sapesse che noi eravamo i primi. La gloria è un bell'affare, ma si fa fatica! Non avevo neanche il tempo di apprezzarla, perché la mia vita era solo eccesso e follia.

Nel 1981 non c'era altra soluzione che lasciare il gruppo per ritrovare la normalità?

Non potevo più stare al gioco. Mi ricordo di aver visto un filmato su un concerto degli U2 in uno stadio italiano. Su degli schermi giganti passavano dei visi scelti tra la folla: al gruppo non interessava chi fosse venuto a sentirli. Mentre per me era il contrario. Più le sale erano grandi, più il pubblico era numeroso, più andavo in depressione. Avevo l'idea naive di poter suonare solo davanti al pubblico che amava la nostra musica, mai davanti a quelli che definisco 'turisti' nel senso che vengono al concerto per fare due chiacchiere o bere qualcosa. Per me il pubblico doveva essere concentrato, capire perfettamente ciò che cantavamo. Mi rifiutavo di entrare nella società dello spettacolo. Quando il Papa a Pasqua dà la benedizione, affacciato al suo balcone, quanti sono lì per il rito religioso, quanti soltanto per fare delle foto e passeggiare per Roma? Se fossi lui, preferirei rivolgermi soltanto ai credenti.

Ti piaceva non stare al gioco?

A scuola ero considerato un ragazzo adorabile, mentre passavo il tempo a cercare gli errori nel sistema. Non ero mai incazzato, ma in contrapposizione: lo scopo era di restare nella legalità cercando di trarre il maggior vantaggio possibile dal sistema. Quando è nato il punk mi sono sentito subito a mio agio. Col mio gruppo affittavamo dal pastore di Leigh (tra Manchester e Liverpool) la sua chiesa per organizzare dei concerti il sabato sera. Anche a scuola andavo a trovare i miei professori per organizzare i miei corsi, cambiare gli orari, in modo che alla fine avevo quattro giorni liberi a settimana. Facevo credere loro che sarei andato a studiare in biblioteca, in realtà passavo il tempo in una sala giochi a fumare e parlare di musica.

La musica quando è diventata importante?

Natale 1968. Mio fratello ebbe in regalo un giradischi. Con i ragazzi della mia età, profittavamo dell'assenza dei genitori per organizzare delle feste ascoltando dischi e bevendo sidro. La musica allora divenne il mio legame con gli altri. Vicino a casa, c'era un negozio di dischi in cui passavo il tempo a comprare o scambiare i singoli. Il 4 gennaio 1970 presi in mano la chitarra per la prima volta. Mi ricordo la data esatta perché la segnai sul mio diario. "Oggi piove, mi annoio. Voglio provare a suonare la chitarra di mio fratello".

Sognavi di abbandonare la tua famiglia?

Non ero abbastanza violento per prendere una decione simile. Leggevo i libri nella mia stanza, saggio come un'immaginetta. Era con mio fratello che si incazzavano per delle storiacce. Io ero felice, non soffrivo di claustrofobia per quella piccola vita. Il mio sogno era di fare una cassetta con una mia canzone, andare in una cittadina turistica sul mare dove, per pochi soldi, potevi stampare un flexi disc. Per anni sono andato avanti aspettando il giorno in cui sarei diventato un musicista. Del resto cosa potevo fare con il mio diploma di elettricista? aggiustare televisioni tutto il giorno? Piuttosto la morte. Per respingere ancora una volta la vita attiva, iniziai altri studi: filosofia e letteratura europea comparata. Era la mia vendetta su tutti quegli anni di scuola in cui mi era vietato studiare l'arte o la letteratura a favore della matematica e delle scienze.

All'epoca hai lasciato la famiglia per andare a studiare a Bolton vicino Manchester. Come hai vissuto la nuova esperienza di libertà?

A Bolton avevo una stanza in una grande casa tenuta dal sindacato degli studenti. La mia ragazza poteva stare con me, ho vissuto tutte le esperienze tipiche degli studenti. Non si va all'università per studiare, ma per scoprire la vita e i suoi eccessi (ride). In quella casa c'era uno scantinato dove avevo installato amplificatore e chitarra. Mi accontentavo di scrivere delle canzoni pensando che le case discografiche fossero delle fortezze inespugnabili. Mi sentivo condannato a restare ai margini perché mi rifiutavo di suonare nei bar: chi sarebbe riuscito a bere birra ascoltando le cover di White Light White Heat o dei Roxy Music?
Nel '75 lessi un annuncio nella bacheca "Si cerca musicisti per riprendere Sister Ray dei Velvet". Ho telefonato e ho incontrato quello strano tipo che conoscevo di vista, si chiamava Howard Trafford. All'epoca non si faceva ancora chiamare Howard Devoto. Ero felice di aver incontrato qualcuno che non si lasciava andare a lunghi assolo, che non voleva rifare Smoke On The Water. Passavamo i fine settimana insieme a parlare del nostro futuro e ad ascoltare la sua incredibile collezione di dischi pirata di Dylan. La sua stanza era piena di libri: Burroughs, Proust, Camus, che leggevamo ascoltando gli Stooges. Un giorno ci siamo tinti i capelli di rosso, ridicolo! Da Pete McNeish sono diventato Pete Shelley, perché un giorno avevo chiesto a mia madre come mi avrebbe chiamato se fossi stata una femmina. Per gli altri avevo scelto questo nome in omaggio al poeta. Era così ma in un modo contorto. Mia madre aveva scelto Shelley in omaggio all'attrice Shelley Winters che, a sua volta, aveva cambiato il nome da Shirley in Shelley per il poeta.

Come vi siete accorti che stava succedendo qualcosa attorno ai Pistols?

Quello che ci ha immediatamente attratto era il fatto che riprendevano gli Stooges come noi. Era necessario che le cose cambiassero, anche i gruppi heavy metal suonavano troppo lentamente per noi. Howard ed io pensavamo di essere gli unici frustrati a Manchester, ma quando abbiamo invitato i Sex Pistols abbiamo scoperto un sacco di gente come noi. Eravamo rassegnati alla solitudine, ai nostri strani dischi, grazie al punk abbiamo scoperto altri abitanti sul nostro piccolo pianeta. Avevo l'impressione di essere uscito di prigione, di poter incontrare gente. Morrissey era sempre lì in prima fila, perché fra lui e McLaren c'era la connessione New York Dolls: il primo si occupava del loro fan club inglese, il secondo era stato il loro manager.

Come si vestivano i primi punk di Manchester lontano dalle boutique di moda a Londra?

Un giorno sono andato in una boutique chic di Manchester con Howard, che si è comprato un pantalone a strisce blu e rosse. Il sarto voleva sapere quanto doveva accorciarli. Ma Howard se li fece soltanto stringere. Il poveretto era stupefatto di dover trasformare dei pantaloni a zampa d'elefante in pantaloni a tubo. Nel '76 mi sono bucato le orecchie, ci ho infilato delle spille da balia e una lametta. Non puoi immaginare l'orrore e lo scandalo che ho suscitato in città. Bisognava leggere a fondo la stampa musicale per sapere dell'esistenza del punk. Noi eravamo felici: gli imbecilli non ne avevano ancora sentito parlare e noi avevamo l'impressione di essere una grande famiglia. Non avevo mai avuto tanti amici sparsi nel paese. Il movimento cominciava a diffondersi in tutte le città: Liverpool, Bristol, Birmingham, Sheffield... A poco a poco ci siamo organizzati. A Manchester c'era un club omosessuale gestito da un travestito, Fof Foo Lamar. Nel weekend i punk cominciarono a frequentarlo, perché solo Foo Foo metteva Bowie e tollerava dei ragazzi truccati e bizzarri. Anche a Londra i primi club frequentati dai punk erano gay. L'ambiente era molto giovane, tollerante, glamour, decadente e sofisticato. La violenza è venuta più tardi, quando il grande pubblico si è impaurito e ha cominciato ad attaccare i punk che rappresentavano la degenerazione.

C'era rivalità con Londra?

Mai. Quando McLaren ha organizzato il suo festival "Scream on the green" - il primo concerto dei Clash - ci ha invitati. Un mese dopo ci ha chiamati al 100 Club - siamo stati l'ultimo gruppo punk a suonarci. In seguito abbiamo partecipato all'Anarchy Tour con i Clash e i Pistols, al posto dei Damned. Era eccitante andare a Londra, incontrare gente nuova come Siouxsie Sioux. Avevamo la sensazione di essere nell'occhio del ciclone, di partecipare ad un movimento importante. Bastava muovere il mignolo per scatenare la tempesta. Nessuno aveva osato fino a quel punto: si pensava che fosse vietato dalla legge di suonare così veloce e così male. Noi abbiamo fatto scoprire che tutto era permesso: un invito all'anarchia, all'azione. Adoravamo manipolare la stampa, la gente. Era l'idea principale del punk: un gioco di ruolo. Un po' come quelli che hanno iniziato a gettarsi dai ponti con un elastico attaccato al piede. All'inizio sono stati presi per pazzi ma a poco a poco la gente ha capito che non era solo un idiota gusto del rischio. Certi hanno visto il lato creativo dei punk, che inventavano uno stile, una musica.

Come hai capito che il movimento punk stava alla fine?

È durato fino al '77, poi è stato diverso. I gruppi hanno cominciato a firmare con delle multinazionali, a rientrare nei ranghi. È per questo che abbiamo fatto il nostro primo singolo, Spiral Scratch, da soli. Nessuno ci aveva ancora provato, tutti pensavano che solo le major avessero il diritto di far uscire i dischi. Ma ci si è resi conto subito che era facile. Tutti ci trattavano da folli, dicevano che saremmo rimasti con tutti i dischi sul groppone. Abbiamo fatto una colletta fra i nostri amici e i nostri genitori, abbiamo affittato uno studio per una giornata, registrato quattro pezzi. Abbiamo disegnato la copertina e stampato il disco in mille copie. Il giorno in cui è uscito ho comprato due bottiglie di vino per celebrare quel momento storico, pregando che ne vendesse almeno la metà. Nel giro di una settimana le mille copie erano state vendute.

Per il vostro primo album Another Music In A Different Kitchen (1978) avete firmato con una major. La leggenda vuole che Devoto abbia abbandonato il gruppo perché considerava questo gesto come una sottomissione.

Abbiamo scelto quell'etichetta perché conoscevamo Andrew Lauder, che aveva sotto contratto Hawkwind, Can, Neu e, in seguito, Stone Roses... Quando ha firmato con noi, non ci ha detto "dovete cambiare questo o quello". Non è per questo che Devoto se n'è andato nel '77. È stato per continuare i suoi studi che aveva abbandonato da tre anni. Non aveva voglia di rovinare tutto a tre mesi dagli esami finali per i Buzzcocks. Ha scelto lo studio, si è laureato e poi ha formato i Magazine. Ma siamo ancora amici.

Eri felice di essere diventato il solo leader del gruppo?

Non ho mai fatto schioccare la frusta per avere il gruppo in mano. Tutte le idee erano buone, le mie come quelle degli altri. Mi piaceva stare sotto i riflettori. Mi sembrava di essere il direttore d'orchestra e in più scrivevo le parole che erano la cosa che contava di più per me. Riuscivo ad esprimermi nei testi con più precisione e onestà che nella vita di tutti i giorni. Ripetere una frase dieci volte di seguito può dare un peso impensato a delle parole semplici. Tutti i messaggi che dovevo mandare alla gente li nascondevo dietro le canzoni. La persona a cui si riferiva il messaggio capiva ed io mi sentivo bene. Era il solo modo di esprimere la collera, il rancore perché ero incapace di dire alle persone cosa pensavo ceramente.

Un altro tratto affascinante dei tuoi testi era quel modo di scrivere indifferentemente nei panni di un uomo e di una donna.

Morrissey ha trovato questo affascinante, ci ha costruito sopra tutta la sua carriera. Se scrivevo in quel modo, è perché la mia sessualità era piuttosto ambigua. Siccome sono bisessuale posso scrivere da un punto di vista femminile o maschile, so cosa gli uni e le altre provano. Le mie canzoni potevano quindi riguardare tutti, mi serviva una grande disciplina per gestire questo stile asessuato. Nessuno all'epoca scriveva di cose così personali. Passavo la mia vita a innamorarmi di persone sbagliate - a 40 anni non sono ancora cambiato.

Le tue canzoni sono diventate mano a mano più oscure e turbate; stavi perdendo terreno?

Registravamo e andavamo in tour troppo. Questo ha accelerato il processo di distruzione che, comunque, era inevitabile. Non ero fatto per essere felice. Non avevo più un secondo per me e, quando potevo scappare, non riuscivo a distendermi. Le mie depressioni cominciavano a diventare un problema per il gruppo. Sempre di più mi rifiutavo di stare al gioco, di accettare il compromesso. Ero intrattabile, sconvolto. Ho cercato di farla finita prendendo un intero tubetto di barbiturici, ma la mattina dopo mi sono svegliato che ero un fiore (ride). Allora ho capito che era meglio essere un uomo sofferente che un rimbambito col sorriso stampato. Verso il '79-'80 prendevo continuamente acidi, credevo che fosse utile per farsi delle autoanalisi a colori, incontravo Dio, capivo il senso della vita e della morte (ride). In studio mi nascondevo sotto il tavolo di missaggio e ne uscivo fuori solo quando dovevo cantare, quando i miei incubi mi abbandonavano. Nell'ultima tournée con i Joy Division le mie notti erano insopportabili. Non credevo in niente, figuriamoci nei Buzzcocks. Avevo dipinto un pavimento dimenticando di lasciare lo spazio per uscire: mi trovavo nel fondo della stanza all'angolo senza saper più cosa fare. È per questo che ho lasciato il gruppo e iniziato una carriera solista con Homosapien (1982).

Come ti sentivi dopo la separazione?

Era come la fine di un rapporto d'amore. Avevo fatto di tutto per continuare ad amarci, ma la coppia non si è comportata come avevo immaginato. Litigavamo, non ci amavamo più: perché restare insieme? Ero triste ma, soprattutto, sollevato. Perché avevo trovato una nuova storia d'amore, passionale, con il mio primo album solista. Il gruppo non aveva detto tutto, aveva ancora delle potenzialità, ma i problemi umani, finanziari, i rapporti con la casa discografica, con il management diventavano troppo pesanti. Per anni avevamo registrato in continuazione, facendo uscire i dischi ogni sette otto mesi. Eravamo ad un punto morto per delle questioni amministrative. La casa discografica ci lasciava marcire ed io ero sconvolto che ci potesse trattare con tale leggerezza. Il male era fatto: erano riusciti ad abbassare il morale delle truppe. Non avevo scelta: dovevo uccidere il gruppo. Non potevo lasciare che si dissolvesse.

Dalla vostra separazione molti gruppi hanno rivendicato la vostra influenza. Era frustrante o al contrario ti dava conforto?

Quanche anno dopo la separazione il New Musical Express pubblicò un articolo retrospettivo sui Buzzcocks. Avevo l'impressione di leggere un'orazione funebre. Ho dovuto smettere di respirare per rendermi conto che ero ancora vivo. Noi non avevamo idea di fare una musica così importante. Ma presto mi sono accorto della nostra influenza sugli altri. Non si dirà mai abbastanza su quanto hanno preso gli Smiths da noi. Ma la riabilitazione sta andando avanti: con Elastica e compagnia viene ammessa la nostra importanza.
Ci siamo accontentati di passare la staffetta: l'abbiamo ricevuta da Bowie, dai Velvet, da Bryan Ferry e l'abbiamo passata a Morrissey o Supergrass... Lou Reed ha molte più ragioni di noi di essere furioso della sua discendenza. Che dei crimini commessi in suo nome.

di J.D. Beauvallet - Traduzione di Bianca Spezzano

[Modificato da mirkosv@ro 11/01/2005 20.49]

VertigoMJ
00mercoledì 12 gennaio 2005 14:41
Ascoltato Fear Of Music dei Talking Heads, un altro album che deve far parte della mia collezione di dischi insieme a Remain In Light.
[SM=x125595]
§Velvet§
00mercoledì 12 gennaio 2005 15:00
Re:

Scritto da: VertigoMJ 12/01/2005 14.41
Ascoltato Fear Of Music dei Talking Heads, un altro album che deve far parte della mia collezione di dischi insieme a Remain In Light.
[SM=x125595]


Quoto per Fear Of Music(l'altro non l'ho ancora ascoltato), lo acquistero' sicuramente[SM=x125585]
mirkosv@ro
00mercoledì 12 gennaio 2005 21:21
avviso importante per la cricca!
Se non vi dispiace, mes amis...vi ho appena aperto un thread per discutere della new-wave americana...sapete, faccio un pò di difficoltà a seguire la congruenza di questa discussione che preferirei tenere su un registro squisitamente britannico.
Perdonatemi...ma io sono un tipo ossessivamente ordinato e meticoloso.
Non mi dispiacerebbe affatto se riuscissimo così a sviluppare due discorsi distinti, ma ovviamente talvolta interferenti fra loro.
Chi tace acconsente?!? [SM=x125591]

[Modificato da mirkosv@ro 12/01/2005 21.22]

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