Se una notte d’inverno Shakespeare

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vanni-merlin
00domenica 12 agosto 2007 09:28
Se una notte d’inverno Shakespeare


Niente scene né costumi per l’eccellente allestimento di Francesco Manetti


MASOLINO D’AMICO


ROMA
Nel tardo Shakespeare i Romeo e Giulietta non muoiono, ma - dopo che i clan rivali di cui essi sono esponenti hanno superato, magari lentamente e dolorosamente, le reciproche ostilità - si sposano, inaugurando un avvenir migliore. Così nella Tempesta, dove Miranda figlia dello spodestato signore di Milano impalma Ferdinando, figlio dell’alleato dell’usurpatore, e il ducato torna alla legittima dinastia; e così nel Racconto d’inverno. Qui Perdita, la figlia di Leonte re di Sicilia, abbandonata nei boschi perché ritenuta prodotto di un adulterio, è salvata dai villici e, alla lunga, amata dal principino Florizel di Boemia, rampollo di quel re Polissene che a suo tempo era dovuto fuggire in fretta dalla corte di Leonte, il quale, assurdamente convinto di una sua tresca con la propria consorte Ermione, voleva farlo ammazzare. Questa tragedia a lieto fine o commedia a risvolti tragici si articola in due momenti ben distinti, il primo con la follia di Leonte, che accecato dalla gelosia infierisce sulla moglie, sull’ospite e sulla neonata, cercando la morte di tutti e tre (invano, anche se per le due femmine crederà a lungo di esserci riuscito) e provocando senza volere quella per dolore del proprio giovanissimo erede; e il secondo molti anni dopo, prima con l’idillio boschereccio in Boemia, dove fiorisce l’amore tra i ragazzi predestinati, e infine con la riconciliazione generale in Sicilia.

Racconto d’inverno non si vede spesso sui nostri palcoscenici, ragione di più per non farselo scappare al Globe, dove è parte di una stagione estiva shakespeariana ricca di ben sei titoli. Gli altri sono Molto rumore per nulla, La tempesta, Sogno di una notte di mezza estate, Giulio Cesare e Come vi piace, tutte commedie meno il più famoso dei drammi romani. E’ lo Shakespeare meno problematico e più accessibile e cordiale, e come tale lo trattano gli allestimenti, almeno a giudicare da questo, eccellente, diretto da Francesco Manetti. Niente scene, in carattere col particolarissimo luogo; niente costumi (vestarelle per le donne, uomini in pantaloni e casacchetta tipo funzionari della Cina comunista); quasi unici elementi, dei tavolini spostati per «diventare» praticabili di vario tipo, persino delle cavalcature (e niente orso: invece di essere inseguito dalla prevista belva, il sicario che ha abbandonato Perdita viene accompagnato nell’oltretomba dal defunto fratellino di costei); musiche suonate dal vivo, un po’ di violino e percussioni ritmiche faidaté; compagnia molto dinamica, i cui membri non di scena assistono dai lati della piattaforma sempre pronti a lanciarsi in coreografie talvolta di ottimo effetto, come nella festa della tosatura.

La recitazione, sobria e senza pause, sembra finalizzata a far prevalere l’ascolto della storia nella limpida traduzione di Agostino Lombardo, il che il pubblico accoglie con tangibile riconoscenza. Non che non sia dato modo di spiccare ad alcuni interpreti, come Andrea Ricciardi (Leonte), Aglaia Mora (Ermione), Michele Demaria (Camillo), Claudia Benassi (Perdita), e Arpad Vincenti (il simpatico furfante Autolico: ma insomma, nessun esibizionismo registico o attoriale distoglie dalla fruizione, per usare un termine un po’ passato di moda, di un testo tanto poco familiare quanto affascinante. Evviva! Due ore più intervallo, fino al 19 agosto.



da: www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/spettacoli/200708articoli/24650gi...

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