RACCONTI DI CICLISMO

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isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:28
Ecco com' era il ciclismo eroico - di Cino Cinelli

Ecco il racconto che nel 1997 il mitico Cino Cinelli (proprio quello divenuto famoso per i manubri e le sue biciclette) fece alla Gazzetta dello Sport ricordando il "suo" ciclismo.

Strade bianche: si mangiava polvere e fango. Tubolari piu' larghi e pesanti mezzo chilo l'uno. Una corona davanti e la tripla dietro. I cerchi erano in legno. La ruota si poteva cambiare solo se era rotta, in caso di foratura bisognava arrangiarsi da soli. Il ciclismo degli anni Trenta, com'e' facile immaginare, era molto diverso da quello di oggi.

LE STRADE - Terra battuta e poca ghiaia in pianura, si mangiava polvere o fango. In montagna c'erano anche i sassi, ed era peggio. Se in buono stato, la strada bianca era la migliore. Nel 1934 - 35 comparvero i primi pezzi di strada in bitume.

LE BICICLETTE - Il telaio era in acciaio, la bici pesava meno di 10 kg. Il primo manubrio in alluminio si vide nel 1936 - 37, ma molti continuarono a montare quello in acciaio. Fino al 1937 i cerchi erano in legno, poi in alluminio, piu' robusti ma anche piu' pesanti, duravano di piu', pero' si scaldavano (era un problema soprattutto in Francia, sui Pirenei, dove c'erano lunghe discese).
I tubolari pesavano anche mezzo chilo l'uno, poi si scese a 350 grammi, nel 1943 quando vinsi la Sanremo avevo tubolari da 260 e mi dicevano che ero matto. Anche la sezione era maggiore: alla Parigi - Roubaix si usavano tubolari di 24 - 25 millimetri di diametro, oggi di 19, ma non a caso si cade di piu'.

IL CAMBIO - Dopo la prima guerra mondiale e negli anni Venti c'era un pignone fisso e la ruota libera: per cambiare bisognava fermarsi e girare la ruota. In Italia il primo cambio, che consenti' di non fermarsi, fu il Vittoria: con un dito si prendeva la catena, si faceva una pedalata indietro e si cambiava. Nel 1936 - 37 al cambio Vittoria aggiunsero due alette da applicarsi nella parte posteriore del telaio, vicino alla ruota libera, per spostare la catena senza metterci le mani. Nel 1938 apparve il Campagnolo, con un forcellino posteriore dentato e due aste: la prima per sbloccare, l'altra per guidare la catena dove si voleva. All'inizio c'era un ingranaggio davanti (al massimo il 49 o 50, ma Raffaele Di Paco se n'era fatto fare uno con 52 denti, Giuseppe Martano addirittura con 54) e la tripla dietro (in genere 16 - 18 - 20). Al Lombardia si usava il 48x22 o il 50x23.

Per Gino Bartali il "rapporto Ghisallo" era 49x22.
L'ABBIGLIAMENTO - In lana per la strada, in filo di Scozia per la pista. I pantaloncini erano imbottiti con pelle di daino, e sulla pelle si spalmava una pomata per renderla piu' morbida. La maglia aveva una tasca anche davanti. Berrettino e guanti erano identici a quelli di oggi, gli occhiali no: erano da motociclista, con la tela ai lati. Con una sigaretta accesa facevo due forellini sulla tela per non far appannare le lenti.

L'ASSISTENZA - Il cambio della ruota per una semplice foratura era proibito, a meno che non si rompesse la ruota o qualche raggio. C'era un trucco: in caso di foratura si chiedeva ugualmente il cambio della ruota, poi il meccanico provvedeva a spaccare qualche raggio per giustificare, ai giudici, il suo intervento. Quanto ai rifornimenti, due o tre in corsa, dipendeva dal chilometraggio, comunque superiore a quello di oggi. Cosi', per avere la massima autonomia, si partiva con due tubolari a tracolla, la pompa, due borracce davanti al manubrio, e il borraccino in una delle tasche.


isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:31
La bicicletta diventa un mezzo di trasporto di massa
La pratica del ciclismo è ricca di molti significati storici. I primi pedalatori erano persone ricche. L'Italia fece in fretta ad accorgersi della bicicletta come strumento da produrre in grande quantità e da proporre ad un vasto mercato. Il passaggio della bicicletta da strumento di sport o di diporto per pochi a strumento di svago per molti, avviene non appena il veicolo fu commercializzato ad un prezzo accettabile a tanti.
Le corse in bicicletta divennero in quei tempi lo strumento ideale per la propaganda di un mezzo che doveva servire agli operai per andare al lavoro. I campioni di allora invitavano a comprare la bicicletta. La stessa donna ciclista rappresentava il prototipo della popolana che grazie alla bicicletta riusciva, nella sua giornata piena, a fare in ogni caso qualcosa in più.
I giornalisti cantori presentavano il corridore come un vicino di casa. Così, il ciclista agonista ebbe subito il dovere di essere un semplice saggio. Il velocipedismo popolarizzò la bicicletta facendo conoscere lo strumento di spostamento più economico del mondo. Strumento di sport, la bicicletta divenne grazie allo sport strumento di svago e di aggregazione sociale. Per lunghi anni le corse servivano per far vendere le biciclette.
Alla fine del '800 circolavano in Italia 558.992 biciclette (censite perché tassate) e nasceva l'Unione Velocipedista D'Italia (Pavia 1885), oggi FCI che organizzava gare, ma che si occupava anche di ciclisti in genere.
La Gazzetta dello Sport nasce nel 1896 con la sottotestata " Il Ciclista -La Tripletta". Intorno alla bicicletta c'era la letteratura, il giornalismo la classicità e l'attualità.
La bicicletta fu per lunghi anni il cavallo di acciaio, compagno dei purosangue.
Pensate che a Milano il Generale Bava Beccarsi, Regio Commissario, sapeva usare il cannone e aveva paura della bicicletta tanto da imporre il divieto di circolazione in tutta la provincia. Molte amministrazioni pubbliche fecero di tutto per arginare la pericolosa novità: prima divieti, poi limitazioni infine la tassazione. Addirittura per guidare la bicicletta ci voleva la patente ed in seguito il certificato di idoneità e seguire una speciale scuola guida. Per questo motivo la bicicletta rimarrà per diversi decenni un oggetto proibito. Ci vorranno due guerre perché la bicicletta compaia da protagonista fra città e campagne, strumento di lavoro e di rapida aggregazione. Ai suoi esordi entra nelle scuderie delle famiglie reali, nelle dimore dei nobili, trova adepti nel mondo intellettuale.
Alfredo Oriani, scrittore poeta faentino dice: "La bicicletta è una scarpa, un pattino, siete voi stessi, è il vostro piede diventato ruota, è la vostra pelle cangiata in gomma……….La bicicletta siamo noi, che vinciamo lo spazio e il tempo: soli, senza nemmeno il contatto con la terra che le nostre ruote sfiorano appena ".
Dietro questi esempi nei primi decenni del secolo scorso vi è una parte vivace della piccola e media borghesia e del proletariato, che si lascia innamorare e che si arrangia, a forza di cambiali, per comprarsi la bicicletta. C'è l'ambizione sociale, c'è la voglia di scampanellare, di pigiare sui pedali in coppia, di conoscere i dintorni. Tutto attorno nasce la pubblicità e il galateo delle due ruote. Pubblicità per la quale si schierano famosissime firme (Toulouse Lautrec) e galateo che da indicazioni precise sull'abbigliamento più adatto (calze lunghe di lana, cappelli di feltro di colore chiaro) e sul comportamento da tenere in strada. Tutto questo, fa sì che s'incrementi la vendita delle biciclette tanto che nel 1914 se ne contano in Italia 1.255.000. Addirittura l'Esercito Italiano creò prima fra tutti " il Soldato Ciclista" adottando la bicicletta bersagliere, prodotta dalla Bianchi, modello speciale a gomme piene robusto senza molleggio e che si ripiega su stessa per essere messa a spalla.

isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:34
La storia della bicicletta

Dopo aver inventato il primo veicolo a due ruote, l'uomo ha atteso quasi 300 anni prima di utilizzarlo per competizioni. Scorriamo allora insieme la storia di questo meraviglioso mezzo di trasporto.


Durante i lavori di restauro del "Codice Atlantico" di Leonardo da Vinci (1452-1519), eseguiti nel 1996 a Madrid è stato scoperto il disegno di un mezzo straordinariamente simile alla bicicletta: un telaio portante due ruote uguali fra loro, la trasmissione a catena e azionato da un meccanismo a pedali. Lo schizzo di questo disegno è rimasto segreto per oltre 500 anni. Pensate che per vedere una bicicletta con catena dovremo attendere ancora 400 anni. Se la storia della bicicletta comincia con Leonardo, la preistoria della bicicletta porta all'Antico Egitto.


Infatti, nei templi di Luxor gli archeologi hanno scoperto un graffito che rappresenta un uomo seduto su una sbarra sospesa tra due ruote.

E si racconta, o meglio si favoleggia, anche che 23 secoli A.C. in Cina circolasse un veicolo con ruote di bambù chiamato, il "dragone felice".

Leggende su curiosi veicoli a ruote ci sono state tramandate anche dall'India Antica, mentre pare che nel mondo classico fosse noto il monopattino. Dopo Leonardo da Vinci, è nel 1610 che si trova una prima macchina azionata dalle gambe, ed è sempre nella prima metà del XVII secolo che fu raffigurato sulla vetrata della chiesa di Stoke Poges in Inghilterra, un angelo seduto su un asse di legno istoriata sospesa tra due ruote con sei raggi.

In tutto il periodo che va dagli inizi del 600' fino all'ultimo decennio del 700' furono molti quelli che s'ingegnarono a costruire veicoli a ruote.


Spesso si trattava di strane macchine, con gigantesche ruote accoppiate, di curiosi marchingegni pieni di leve e manovelle, in ogni caso di apparecchi che sono stati gli antenati dell'automobile piuttosto che della bicicletta. Bisogna arrivare ai giorni della Rivoluzione Francese per trovare il primo vero antenato della bicicletta, in altre parole il "nonno della Bicicletta". È il 1790 ed a Parigi nasce il Celifero (dal latino Celer = rapido Fero = trasposto). A costruirlo fu il Conte Mede de Sivrac. Il Celifero era costituito da un asse di legno che aveva anche la forma di sella, due forche di legno e due ruote di uguale dimensione sempre in legno. Per farlo avanzare era necessaria l'azione dei piedi a colpi alternati. Un limite grosso del celifero era quello che non si poteva curvare. Insomma si era inventato un giocattolo per soli adulti.


La storia della bicicletta dal conte de Sivrac in avanti è bella, fatta e nutriente. Fabbri, carradori, maniscalchi, falegnami, si dilettano nella modifica del Celifero, peraltro mai brevettato dal conte de Sivrac, costruendo modelli con forme di cavallo, cane, leone, serpenti.

Il Celifero in ogni modo nutriva molti appassionati che addirittura si sfidavano in spericolate gare, e si afferma addirittura che fosse usato da alcune ditte per il servizio a domicilio, una specie degli attuali Pony-Express. Nel 1816 il barone tedesco Karl Von Drais mise a punto un Celifero perfezionato e dotato di sterzo.Fu presentato a Parigi due anni più tardi e fu chiamato Draisienne dai francesi Draisina dagli italiani.



Il nuovo veicolo era libero finalmente di curvare grazie alla ruota anteriore mobile, e presentava un grande manubrio , però era eccessivamente pesante e di difficile guidabilità tanto da risultare pericoloso.Il conducente era costretto a "camminare da seduto".
Il successo fu,comunque ,immediato e la maggioranza delle persone dell'epoca considerò inizialmente quell'oggetto una sorta di curioso passatempo piuttosto che un vero e proprio mezzo di trasporto. Solo dopo corpose e sostanziali modifiche dapprima fatte in Inghilterra ,dove era chiamato Hobby Horse (cavallo da divertimento) e dove ne fu fatta anche una versione al femminile con telaio abbassato ,la Draisienne iniziò a piacere anche ai Parigini. La Draisienne fu costruita tutta in ferro, e fu resa elegante con il montaggio del sellino di pelle,il contachilometri sul manubrio,il parafango sulla ruota posteriore,il riposagomiti.


Fu esportata con successo anche in America del Nord e nel Belgio. In Italia sbarcò nel 1818 e fu accolta con molto sospetto tanto che furono emanati bandi ,dalle Polizie Municipali,contro l'uso dei velocipedi durante la notte ,tollerando il corso dei medesimi solo sui bastioni e sulle piazze.


Il primo modello di bicicletta azionato senza toccare terra con i piedi, in pratica spinto da una forza motrice trasmessa alla ruota direttamente dalle gambe dell'uomo, fu creato nel 1840 da un fabbro scozzese di Glasgow ,tale Kirkpatrick McMillian, conosciuto con il nome di "Diavolo."

Il suo veicolo, sempre a due ruote, presenta una ruota posteriore assai più alta che quella anteriore; su di essa stava la sella e sulla sella stava l'uomo, il quale con due pedivelle ed un sistema di trasmissione semplice ma molto ingombrante faceva agire la ruota stessa.
L'uomo su questo velocipede era un autentico equilibrista. Solo dopo che si arrivò a spostare l'azione sulla ruota anteriore, che diventò molto più alta, e che si applicò due piccole bielle alla stessa ruota (pedali) la "Draisienne a Leve" ebbe un buon successo. I pedali furono inventati da un ragazzo di 15 anni, certo Ernest Michaux, che assieme al padre inventarono anche un freno rudimentale. In Italia il Velocipede Michaux fu importato da un mercante fiorentino.

Questo velocipede aveva una ruota anteriore con diametro tra 90 e 150 cm. Ma dal momento che i pedali agivano direttamente sulla ruota, si pensò giustamente che ingrandendo la ruota si aumentava lo spazio coperto con una sola pedalata. Si arriva così alla costruzione di un mostro che ha una ruota anteriore alta 3 mt, che con
una pedalata che copre 9,50 metri.


Il mostro pesava 65 kg e per salirvi bisognava usare una scaletta di sei gradini. Il biciclo divenne bicicletto e poi bicicletta per merito degli inglesi e delle loro invenzioni. Furono costruite le prime ruote di ferro con cerchi piatti, i primi rivestimenti in caucciù delle ruote stesse (da John Body Dunlop) e furono inventate anche le prime ruote a raggi.

Nel 1877 ci fu l'altra più grande invenzione per opera di Rosseau, e cioè i primi ingranaggi con trasmissione a catena (400 anni dopo il grande Leonardo) e la ruota libera, molto utile perché permetteva di sospendere la pedalata per riposarsi e in ogni caso utilissima per la discesa.
In Italia la produzione del Bicicletto inizia nel 1885 per merito di Edoardo Bianchi.

Parallelamente allo sviluppo del telaio e della trasmissione a catena, in Francia i fratelli Andrè e Eduard Michelin, produttori locali di articoli in gomma, ebbero l'idea di dividere il pneumatico in due parti: un tubo in caucciù munito di una valvola, inserito in un altro tubo più spesso e resistente, facilmente smontabile dal cerchione.

Per riparare una gomma forata, dunque, bastava estrarre la camera d'aria e rappezzarla o sostituirla con una nuova.
Negli anni successivi ,ai primi del 900', forti di tutte queste migliorie numerose fabbriche nacquero in Italia. I nomi più famosi sono quelli dell'Olympia, Velo, Maino, Dei, Frera, Ligie, Taurus, Legano, Atala, Torpado, Ganna, Fiat.


L'altra grande invenzione è quella dell'introduzione del cambio di velocità che fu fatto da Tullio Campagnolo. Prima dell'invenzione del cambio si correva con un pignone unico e con due rapporti. Per passare da un rapporto all'altro si doveva scendere di bici, staccare la ruota posteriore e cambiare pignone.


Successivamente lo spostamento della catena da un pignone all'altro era fatto grazie ad un comando a bacchetta, che obbligava in ogni caso il corridore a dare un colpo di pedale all'indietro al momento del passaggio da un rapporto all'altro. Non essendo un'invenzione ingegneristica, molto spesso si inceppava e il ciclista era lo stesso costretto a scendere di bici.


Il cambio negli anni a seguire si è sempre più evoluto e sempre più perfezionato fino a diventare oggi un vero meccanismo di estrema precisione. Nel frattempo il peso della bicicletta scende sotto i 10 kg grazie all'impiego di materiali come l'alluminio, sono applicati i tubolari, la
doppia moltiplica, le prime selle di plastica. Si arriva così piano piano alla bici di oggi, costruita con materiali presi in prestito dall'aeronautica e dall'astronautica come il titanio, l'ergal, il dural i compositi e le fibre di carbonio.


Si arriva così alla costruzione delle ruote lenticolari e a razze, alla costruzione di telai studiati nelle gallerie del vento, con forme aerodinamiche e studiate in base ai parametri biomeccanici. Questa brevemente è la storia di una macchina sorprendente che ha avuto una sua evoluzione per certi versi sorprendente, e cha ha avuto enorme successo.


La bicicletta trova larghi consensi in principio tra le classi più abbienti in ragione del suo costo elevato. Al contempo nascono le prime vere competizioni, che al di là delle sfide tradizionali tra aristocratici, allineano alla partenza una nuova figura "il corridore ciclista" che è di solito un uomo del popolo, un atleta stipendiato dalle case produttrici che intendono valorizzare il loro prodotto (sponsor).

La bicicletta varca la parte del nostro secolo avendo individuato due differenti modelli di macchine che rispondono alle esigenze e alle richieste di mercato.

La bici da corsa ha la caratteristica di leggerezza, dispone di pneumatici facilmente sostituibili, il manubrio con forma curva e ripiegato all'indietro, i pedali con i puntali.
L'altro modello è quello detto da viaggio con parafanghi e carter di chiusura della catena, sella larga, manubrio diritto e largo.
Nata come oggetto di elite e di esibizionismo, è diventata un mezzo per esaltare lo sport e portarlo a livello di grande passione di massa, ha contribuito a creare occupazione sul territorio e, anche se oggi il motore ha modificato la sua funzione, resta pur sempre la piccola regina della strada.

isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:36
La storia della Legnano
La storia dei grandi marchi di biciclette italiane comincia dalla L di Legnano.

Nessun marchio ciclistico come la Legnano può vantare un numero simile di successi in campo sportivo, grazie a campioni come Binda, Guerra, Bartali, Coppi e Baldini.

Quello della Legnano è uno dei marchi ciclistici più antichi e conosciuti del mondo. Fin dal 1902 il nome Legnano ha significato qualità, affidabilità e stile nella produzione di biciclette. La grande tradizione Legnano si è formata sulle strade delle gare più importanti, come il Tour de France, il Giro d’Italia e le tante classiche vinte.

E’ il 1902 quando l’officina di Vittorio Rossi inizia la sua attività di produzione biciclette. Sui telai in acciaio delle sue biciclette compare la scritta “Lignon”. Il marchio si dimostra da subito vincente: da lì a poco arriva infatti la prima vittoria in una gara ciclistica, la “Coppa Val di Taro”.

Il nome Legnano entra nel mondo di tutti i giorni nel 1908, quando un certo Emilio Bozzi fonda la sua compagnia “Emilio Bozzi & C”. con sede a Milano, in Corso Genova 9. La sua intenzione è di produrre biciclette complete, seguendo quello che solo gli inglesi avevano già iniziato a fare in quel periodo. Bozzi aveva nel frattempo acquisito i marchi Perla e Frejus.

Il primo modello prodotto si chiama Aurora. In seguito Emilio Bozzi si mette in società con Franco Tosi, un uomo d’affari di Legnano che stava cercando nuove opportunità di affari nel settore della produzione di biciclette. Lo stesso Tosi aveva già acquisito alcuni brevetti da una nuova compagnia inglese, la Wolsit. L’azienda, non ancora specializzata nella costruzione di biciclette, produsse il “Ciclomotore Wolsit”, fabbricato tra il 1910 e il 1914, di cui in seguito vendette il brevetto alla tedesca N.S.U.

La svolta avviene nel 1924, quando il fascismo inizia ad interessarsi al mondo dei campioni dello sport ciclistico. L’ordine tassativo è che tutti i ciclisti italiani dovranno correre solo su biciclette italiane. E’ in questo momento che arriva la prima grande intuizione di Bozzi: offrire un contratto a vita ad un giovane imbianchino che trasferitosi in Francia con la famiglia, già si era distinto in 38 diverse gare ciclistiche: nasce così il mito di Alfredo Binda.

Nel frattempo il nome dell’azienda cambia e si trasforma in Legnano. Il simbolo che la rappresenta è quello di Alberto da Giussano, il condottiero che riuscì a sconfiggere Federico Barbarossa. Si dice che sia stato lo stesso Binda a disegnare il primo bozzetto del marchio Legnano. Le biciclette Legnano passano da un iniziale colore blu al verde oliva, prima di approdare dalla fine degli anni ‘30 al caratteristico color “ramarro”. I telai Legnano presentano una caratteristica che li rende subito riconoscibili: il bullone ferma sella è posizionato nella parte anteriore del piantone verticale.
Binda si dimostra un vero investimento per la Legnano: con la casacca verderossa vince 5 edizioni del Giro d’Italia, nel 1925, 1927, 1928, 1929 e 1933. Nel 1930 l’organizzazione del Giro lo pagò 22.500 lire perché non partecipasse. Il marchio Legnano diventa così famoso in tutto il mondo. Mentre la fabbrica produce eccellenti biciclette, il settore sportivo viene affidato ad Eberardo Pavesi detto “l’avucatt".

Con lui alla guida la Legnano raggiunge l’apice del ciclismo mondiale: 6 titoli mondiali conquistati (solo Binda ne vince 3) 15 edizioni del Giro d'Italia, 2 Tour de France e dozzine di altre classiche vinte.

Il mito di Binda tramonta nel 1930 a causa di una brutta caduta. In quel periodo inizia a farsi sentire la rivalità con la Bianchi. Pavesi però ha un altro asso nella manica: il suo nome è Gino Bartali, che approda in Legnano nel 1936 a soli 22 anni, dopo una stagione passata alla Frejus. Bartali ringrazia della fiducia vincendo nello stesso anno il Giro d’Italia e due anni più tardi regala alla Legnano il suo primo successo al Tour de France. Il colore giallo che sostituisce per il Tour il tradizionale verde Legnano porta bene alla casa milanese.

Con Bartali riparte una nuova stagione di successi per la marca del guerriero, che arriva al suo apice nel 1939 quando Pavesi affianca all’esperto Bartali un giovane “tutto pelle e ossa”, chiamato Fausto Coppi.

Senza saperlo, Pavesi aveva dato il via alla sfida ciclistica che da lì a poco avrebbe diviso l’Italia in due. Fino al 1942 Gino e Fausto corrono fianco a fianco nella Legnano macinando successi contro tutti i loro avversari. A dividerli ora non è la loro rivalità, ma la seconda Guerra Mondiale che li farà reincontrare solo 5 anni dopo e da avversari. Prima della pausa forzata a causa del conflitto militare Fausto regala un’ultima fiammata ai tifosi Legnano: è il record dell’ora che conquista al Vigorelli di Milano sotto i bombardamenti nemici.

Nell’immediato dopoguerra l’Italia ha bisogno di eroi a cui attaccarsi. Li trova nel mondo del ciclismo: i loro nomi sono Gino e Fausto, che per la gioia di tutti tornano a correre sebbene per squadre separate. Coppi ha appena siglato un contratto con la Bianchi. Ma Bartali non intende lasciargli spazio e mostra il suo carattere con la vittoria al Tour de France del 1948. Nel 1949 Gino lascia la Legnano, che stenta a trovare un sostituto alla sua altezza. L’astinenza dal podio dura fino al 1956. Alle Olimpiadi di Melbourne il giovane forlivese Ercole Baldini vince la gara di corsa su strada e riporta il marchio di Emilio Bozzi sui gradini più alti del mondo. Da lì a poco Baldini regalerà un’altra serie di successi alla Legnano: su una bicicletta leggerissima per l’epoca batte il record dell’ora di Coppi, mentre nel 1958 si aggiudica il Campionato del Mondo.

La Legnano stenta a trovare campioni alla portata della sua storia e inizia un lento ma inesorabile declino, che culmina con l’assassinio di Emilio Bozzi negli anni ’70 ad opera di un gruppo terroristico. Dopo la sua scomparsa, la famiglia non intende rilevare l’azienda, che dopo un periodo di vicissitudini nel 1987 viene ceduta alla Bianchi, rivale di sempre.

Oggi entrambi i marchi sono stati acquisiti dalla multinazionale Cycleurope, che ha deciso di mantenere alta la tradizione del marchio Bianchi, a discapito della Legnano, relegata a produzioni economiche di basso livello.

isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:37
Gli aneddoti del Giro d'Italia
Gli aneddoti sono uno degli aspetti più gustosi e più "veri" dell'epoca eroica del ciclismo. Ecco una piccola rassegna di episodi riguardanti la corsa rosa....
GIRO D'ITALIA

1909
Il Giro d'Italia 1909 fu la prima edizione di questa competizione. Le notizie relative alla corsa si diffondono tramite dispacci telegrafici che l'organizzazione espone per informare gli interessati, ma i più fortunati possono informarsi direttamente con il telefono. Tutti i corridori furono fotografati alla partenza in modo che non ci fossero dubbi sulla loro identità all'arrivo. Il vincitore Luigi Ganna intervistato all'arrivo finale a Milano, dichiarò laconicamente: "me brüsa tanto el cü".

1912
La 4a tappa Pescara-Roma venne annullata perché a seguito dello straripamento di un torrente tutti i corridori rifiutarono di proseguire. La tappa venne "sostituita" istituendo una 9a tappa aggiuntiva tra Milano e Bergamo.

1914
È ricordato come il Giro più duro dell'epoca eroica del ciclismo. Oltre a 5 tappe su 8 oltre i 400 Km (e la lunghezza media di tappa più alta di sempre), nel 1914 ci furono: la tappa più lunga mai corsa al Giro: la Lucca-Roma, vinta da Costante Girardengo; la velocità media più bassa: 23.374 Km/h; il distacco più alto sul secondo; il maggior tempo di percorrenza di una tappa: 19h 20' 47" nella Bari-L'Aquila; il minor numero di corridori al traguardo finale: 8 su 81 partiti. Proprio la 6a tappa Bari-L'Aquila è ricordata come una delle più dure di sempre, con moltissimi corridori costretti al ritiro, tra cui il primo in classifica Giuseppe Azzini che, mai giunto al traguardo, fu trovato il giorno dopo febbricitante in una casa di campagna presso Popoli.

1921
Durante la 5a tappa, sul piano delle 5 miglia, Girardengo fu vittima di una leggendaria cotta: mise piede a terra per la fatica, tracciò una croce nello sterrato della strada e, prima di ritirarsi disse: "Girardengo si ferma qui".

1922
Durante la 1a tappa, Brunero, che arrivò primo al traguardo, fu squalificato e penalizzato di 25 minuti per aver cambiato una ruota.

1924
Questa edizione non vide alcun campione alla partenza, a causa di uno sciopero delle "Case". Allora l'organizzazione della Gazzetta dello Sport aprì le porte ai corridori isolati che, in quanto privi di appoggio, dovettero essere mantenuti dall'organizzazione. Nel 1924 fu presente anche una figura femminile a gareggiare contro i maschi: Alfonsina Strada, che prese il via con il numero 72. In seguito a incidenti e cadute, finì fuori tempo massimo, ma fu autorizzata a proseguire senza numero e tra gli applausi raggiunse comunque Milano.

1927
Nel 1927 Binda è all'apice della sua carriera e vince il Giro aggiudicandosi ben 12 tappe su 15: un record mai più superato. Nella squadra di Binda corre come gregario anche il fratello Albino. Per l'ultima volta si iscrive al Giro Giovanni Rossignoli, vincitore "virtuale" della prima edizione nel 1909. Ha 45 anni e conclude al 44° posto a circa 7h da Binda.

1928
L'ottava tappa venne vinta da Albino Binda, fratello e gregario del campione di Cittiglio. Lo stesso Alfredo Binda in seguito ammise di aver suggerito al fratello di andare in fuga nel momento in cui lui si fosse fermato per girare la ruota (operazione comune prima dell'introduzione del cambio). Albino seguì il consiglio e riuscì a dileguarsi mentre tutti gli altri corridori si fermarono per controllare Alfredo (che peraltro giunse secondo).

1929
Per la quarta volta (terza consecutiva) Binda vince il Giro, oltre a ben 8 tappe.

1930
Dopo la 4a vittoria (3a consecutiva) di Binda al Giro nel 1929, gli organizzatori della corsa, per evitare il calo d'interesse da parte degli sportivi, lo invitano a non partecipare e per convincerlo gli pagano comunque un premio di 22.500 lire, superiore a quello previsto per il vincitore. Per certi versi questo episodio è la vittoria più clamorosa di Binda, e senza dubbio lo ha consegnato alla leggenda del ciclismo.

1933
Per la prima volta al Giro d'Italia viene disputata una tappa a cronometro: la Bologna-Ferrara di 62 Km, che viene anch'essa vinta da Binda.

isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:39
Learco guerra La storia di Learco Guerra, la locomotiva umana
Learco Guerra, la locomotiva umana

Bagnolo San Vito (MN) 14 ottobre 1902 – Milano, 7 febbraio 1963
Lo chiamavano "la locomotiva umana" per la grande potenza che mostrava in pianura. Il soprannome glielo affibbiò il direttore della Gazzetta dello Sport Emilio Colombo dopo aver notato le sue grandi doti di passista.

Sempre sorridente e disponibile, visse da un punto di vista sportivo in contrapposizione con Alfredo Binda, suo grande rivale. Fu, suo malgrado, portato a simbolo del super uomo nel ventennio fascista e dovette donare molti dei suoi trofei "alla patria". Seppe conquistare il cuore della gente e divenne molto popolare al punto di vedersi dedicata una sottoscrizione popolare in denaro.

Learco Guerra iniziò la propria attività agonistica abbastanza tardi, lanciato da Costante Girardengo in funzione anti-Binda, e passò professionista a 27 anni, riuscendo a togliersi diverse soddisfazioni. Vinse 5 Campionati Italiani su strada consecutivamente dal 1930 al 1934, il Campionato del mondo di ciclismo nel 1931 nell'unica edizione disputata a cronometro di km 172, la Milano-Sanremo nel 1933 e il Giro d'Italia nel 1934.



Giunse due volte secondo al Tour de France ed anche in altri due Campionati del Mondo. Fu il primo ad indossare, in assoluto, la Maglia rosa: istituita nel 1931, quale simbolo del primato in classifica e del giornale che organizzava la corsa (La Gazzetta dello Sport), venne indossata dal campione mantovano, vincitore della tappa inaugurale del 19° Giro d'Italia, la Milano-Mantova.


Il suo primo titolo italiano lo conquistò in pista a Carpi nella corsa a punti (1929) così come il suo ultimo Campionato Italiano nel 1942 al Vigorelli di Milano nella corsa dietro motori (stayer) a 40 anni.

Il suo palmarès comprende 85 vittorie totali (compresa una Sei Giorni su pista) e fino agli anni settanta il suo record di vittorie in una stagione agonistica rimase imbattuto. Appesa la bicicletta al chiodo, intraprese la strada del direttore sportivo con ottimi risultati. Dall'ammiraglia guidò, per esempio, Hugo Koblet e Charly Gaul con i quali vinse due giri d'Italia, cosa mai successa in precedenza a corridori stranieri.

I suoi ultimi corridori furono Vittorio Adorni e Gianni Motta già opzionato per il passaggio al professionismo ma che non fece in tempo a dirigere. Morì prematuramente in seguito ai postumi di due operazioni affrontate coraggiosamente per tentare di sconfiggere il morbo di Parkinson.

isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:39
Dopo il gradimento dimostrato per il Giro d'Italia, continuiamo con la pubblicazione di altri aneddoti, questa volta relativi al Tour de France.

La storia
Sono passati ben 105 anni dal 1 luglio del 1903 da quando 60 temerari corridori si allinearono al via della prima tappa di un’avventura sportiva che oggi è definita all'unisono la corsa a tappe più bella del mondo. Un debutto dal sapore marcatamente italiano: il primo a scrivere il proprio nome in cima all’albo d’oro fu infatti Maurice Garin, valdostano emigrato in Francia e soprannominato lo spazzacamino di Arvier per via della professione dichiarata alla frontiera.

Al contrario, la paternità dell’idea di organizzare una corsa in bicicletta era stata del tutto francese, frutto dell’immaginazione di Geo Lefevre, inviato del quotidiano sportivo L’Auto (l’attuale L’Equipe), che poi riuscì a contagiare con il suo entusiasmo il caporedattore Henri Desgrange. Va detto che al traguardo di quel primo Tour giunsero solo 21 pionieri, gli unici che ce la fecero a completare le sei frazioni che collegavano Parigi, Lione, Marsiglia, Tolosa e Nantes. L’esiguità delle tappe non tragga in inganno: ai quei tempi ogni giorno si percorrevano qualcosa come 400 km (la Nantes-Parigi era di 471 km!).

La corsa riscosse un immediato successo tant’è che L’Auto vide schizzare le sue vendite da 25.000 a 65.000 copie, mentre nel 1908 la circolazione toccò quota 250 mila per poi passare a 500 mila nel 1923 e a 854 mila nel 1933. La Grande Boucle era definitivamente entrata nel cuore dei francesi.

Le prime edizioni furono appannaggio dei corridori francesi (Garin correva sotto il tricolore transalpino) che ne vinsero 8 su 9 con la sola intromissione del lussemburghese e comunque francofono François Faber nel 1909. Poi il testimone passò ai colleghi belgi che lo hanno tenuto ininterrottamente dal 1912 al 1923 (il Tour fu sospeso dal 1915 al 1918 a causa della prima guerra mondiale).

La fama della corsa varcò la frontiera italiana per merito di Ottavio Bottecchia che, soprannominato il muratore del Friuli, divenne ciclista professionista soltanto a 27 anni e fece l’accoppiata 1924-1925. Due i Tour conquistati anche da Gino Bartali che ebbe la sfortuna di dover fare i conti con la seconda grande guerra (la Grande Boucle si fermò dal 1940-1946). Ginettaccio portò a casa le edizioni 1938 e 1948.

A Bartali successe un altro mito della bici azzurra, il suo alter-ego Fausto Coppi che trionfò anche nel 1952. All’Airone seguirono altri grandi del ciclismo come i transalpini Louis Bobet e Jacques Anquetil (5 Tour de France) e Felice Gimondi nel 1965. Poi nel 1967 la tragedia dell’inglese Tommy Simpson, morto il 13 luglio poco prima della vetta del Mont Ventoux a causa di un micidiale cocktail di anfetamine e alcol e del caldo opprimente.

Da allora, la corsa fu dominata da autentici mattatori come Eddy Merckx, Bernard Hinault (ultimo francese a chiudere in maglia gialla) e Miguel Indurain che arrivarono primi alla passerella dei Campi Elisi per ben cinque volte ciascuno (l’iberico consecutivamente dal 1991 al 1995). Il più vincente della storia è stato però Lance Armstrong che centrò 7 vittorie di fila, la prima nel 1999 raccogliendo lo scettro di Marco Pantani.
Gli aneddoti
1905
Durante la tappa Nancy-Besançon a causa dei chiodi disseminati sul percorso tutti i corridori bucano le ruote almeno una volta fino alle 15 forature di Jean-Baptiste Dortignacq.

1906
A Digione 4 ciclisti furono squalificati perché accusati di aver preso un treno. Si ripresentò il problema dei boicottaggi dei tifosi, nella seconda tappa, tutti i ciclisti ad eccezione di Lucien Petit-Breton forarono a causa dei chiodi messi sul percorso, ma la situazione fu meno grave rispetto alle precedenti edizioni. Dal punto di vista sportivo bisogna ricordare che all'arrivo di Parigi riuscirono ad arrivare soltanto 14 ciclisti, è il secondo minor numero di ciclisti arrivati.

1907
Il 26 luglio alla vigilia della 10^ tappa, Émile Georget fu penalizzato di 50 punti dalla giuria, in quanto nella tappa precedente Georget aveva cambiato bicicletta, cosa severamente vietata dal regolamento secondo il quale era vietato qualsiasi tipo di assistenza ai ciclisti durante la gara. La squadra "Alcyon" aveva minacciato il ritiro se il ciclista appartenente alla squadra "Peugeot" non fosse stato punito. Nonostante questa penalizzazione la squadra "Peugeot" piazzò 5 suoi ciclisti ai primi 5 posti della classifica generale

1910
L'innovazione di quest'edizione è l'introduzione in corsa del camion balais ovvero il "camion-scopa", su cui salgono i ciclisti che si ritirano dalla gara. La tappa che va da Luchon a Bayonne regala un aneddoto curioso ma che farà storia: durante la durissima scalata al Tourmalet, Lapize è vittima di un incidente meccanico col manubrio letteralmente spaccato. Non potendo riparare subito il danno è costretto ad affrontare a piedi l'intera discesa del colle pirenaico e dopo aver riparato la bici riuscirà comunque stoicamente a vincere la tappa. Celebri furono le parole che pronunciò nei confronti degli organizzatori dopo quella tappa: " Siete degli assassini ! ".

1911
La tappa più lunga della corsa era lunga 470 km, e al vincitore della tappa servirono 18 ore per completarla.

1913
L'edizione del 1913 fu caratterizzata da abbandoni e cadute, i partenti furono 140 ma arrivarono solamente 25 corridori! Il Tour fu dominato dalla squadra "Cicli Peugeot" che riuscì a piazzare tre corridori sul podio malgrado le altre squadre si coalizzarono per arginarne il dominio.
Leggendario l'episodio che accadde a Eugène Christophe nella tappa di Luchon; dopo essere andato in fuga insieme al suo compagno di squadra Philippe Thys, Christophe ruppe la forcella sulla discesa del Tourmalet e nonostante un fabbro si propose di aggiustargliela egli rifiutò in quanto non era consentito dal regolamento, quindi se la aggiustò da solo. Arrivò al traguardo con diverse ore di ritardo perdendo qualsiasi possibilità di vittoria finale , ma entrando per sempre nella storia della corsa.

1919
Le condizione meteorologiche furono difficilissime, pioggia e vento uniti al dopoguerra resero le strade un costante pericolo, basti pensare che ben 26 corridori abbandonarono già alla prima tappa a causa di squalifiche!dei 68 partenti arrivarono a Parigi solo 10 corridori.
I corridori arrivati a Parigi furono 11 ma Paul Duboc venne squalificato per aver raggiunto durante l'ultima tappa il plotone con una macchina!.
Eugene Cristophe ruppe ancora una volta la forcella a solo due tappe dal termine quando aveva oltre 28 minuti sul secondo.La maglia gialla gli venne strappata dal belga Firmin Lambot. Dopo il Tour il giornale sportivo "L'Auto" lancio una sottoscrizione per ricompensare lo sfortunato corridore.

1924
Ottavio Bottecchia è il primo ciclista italiano a vincere il Tour de France. Bottecchia segna anche un record: è anche il primo ciclista riuscito nell'impresa di portare la maglia gialla dalla prima all'ultima tappa.

1929
Victor Fontan, primo nella classifica generale, durante la decima tappa cadde rompendo la sua bicicletta. Purtroppo quell'anno fu stabilita una regola secondo la quale un corridore dovesse finire la tappa con la bicicletta con cui l'aveva iniziata. Fontan dovette andare di casa in casa per trovare una bicicletta da prendere in prestito. Trovatala, dovette percorrere i 145 chilometri che lo separavano dal traguardo trascinando la sua bicicletta originale dietro quella che gli era stata prestata. Arrivò all'arrivo in lacrime.

1933
Durante la 10a tappa un gran numero di corridori arrivarono « fuori tempo massimo », l’organizzazione decise di alzare il limite dal 8% al 10% di ritardo rispetto al tempo del vincitore, se il limite fosse rimasto invariato sarebbero rimasti in corsa solo 6 corridori!

1936
Il governo italiano vieta ai propri corridori di partecipare al Tour per motivi politici

1939
Il governo italiano e quello tedesco proibirono la partecipazioni dei propri corridori per motivi politici, tra di essi c’era anche il vincitore della precedente edizione del Tour Gino Bartali

isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:41
isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:42
isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:45
Storia della Parigi - Roubaix



Roubaix, un nome che è un mito per il ciclismo. E' la classica più particolare, più strana, odiata od amata senza mezzi termini. Per spiegare cosa sia la Parigi-Roubaix è inutile ricorrere a cartine ed altimetrie: in gergo ciclistico è chiamata l’inferno del nord. In molti pensano che si chiami "inferno" per le condizioni difficili imposte da un percorso per pedalatori forti e potenti.


In realtà l’inferno del nord è lo scenario che apparve agli organizzatori della gara nell’immediato dopoguerra durante un sopralluogo: lande deserte, desolate, devastate dalla follia bellica.

Il percorso della Parigi-Roubaix è un serpente di pietra che transita in villaggi e campagne di una provincia certamente meno dipinta della Provenza o della Borgogna.

Tutta pianura, oltre 50 km sul pavè più tremendo, quando va bene in mezzo ad una polvere che nasconde anche le curve, quando va male su un fango in cui le ruote si impastano. E' una corsa anacronistica, che si adatta a corridori molto particolari, assoluti specialisti, fortissimi sul passo, dotati di una certa massa e che abbiano un'innata predilezione per il pavè.

I fasti della Loira e l’atmosfera di Parigi sono lontani anni luce. Le stradine di pavé sono solitarie vie di campagna frequentate da trattori, carretti e bimbi infangati che corrono con la cartella sulle spalle. Per trecentosessantaquattro giorni all’anno quei sassi sporgenti vengono scalfiti dalle imprecazioni di mamme e contadini che pregano i santi protettori di sospensioni, coppe dell’olio e pneumatici sfibrati.

Ma la seconda domenica di aprile, ogni anno, quelle pietre ospitano pagine di ciclismo antico.
isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:45
02/03/2009
La storia della Coppa Placci
È credenza generale, almeno così pensiamo, che l’attività sportiva in Imola sia sorta e poi sviluppata con l’avvento dell’Unione Sportiva Imolese, la cui data ufficiale di nascita, come è noto, è quella del 20 marzo 1920. Le cose non stanno in questi termini.

I primi segni di attività risalgono invece al lontano 1907 allorché un gruppo di giovani appartenenti ad ogni condizione sociale (a quel tempo forse ci si voleva più bene), quotidianamente si recava con biciclette da corsa fuori Porta Bologna inanellando a tutta birra giri su giri sul così detto "quadrato dei Cappuccini" costituito dai tratti del viale omonimo, via Villa Clelia, via Montanara (ora D’Agostino) e via Emilia. Seguivano poi discussioni a non finire, che ricominciavano il giorno dopo con sfide su sfide. Non meravigliatevi del percorso scelto a mo’ di pista per allenamento; allora il traffico era pressoché inesistente e si poteva correre con tutta libertà senza temere incidenti.

Per citare soltanto alcuni corridori italiani di grido, ricorderemo che quello era il tempo dei Gerbi, Ganna, Galetti, Pavesi, Rossignoli ecc. le cui gesta descritte con una prosa esaltante dalla " Gazzetta dello Sport " determinarono il fiorire in ogni angolo d’Italia di una grande passione per il ciclismo.

Pure Imola ne fu presa e così sorsero di volta in volta diversi sodalizi che ebbero quasi tutti vita assai breve ad eccezione del "Club Sportivo Imolese" che merita una citazione particolare per serietà di intenti e di organizzazione. Sorto ufficialmente nel luglio 1908, ebbe come programma la cultura e la diffusione di tutti gli sports. Era diretto dai giovani Alvisi Gualtiero, presidente, Negretti Umberto, Negri Giorgio, Fontana Mario e Luigi Morara Sassi. La Società si sciolse verso la fine del 1912 dopo un quinquennio di attività varia e sorprendente, che portò incremento notevole specialmente al ciclismo e all’atletica leggera. Le due edizioni della Imola-Piacenza e ritorno vanno a pieno merito del Club Sportivo, ma giova pure ricordare che ad altri sports era volta l’attività del Sodalizio.

Dal 1908 al 1913 numerosi furono i corridori ciclisti imolesi che si avvicendarono in molte gare più o meno importanti sia localmente che altrove. Citiamo fra i tanti: Bizzi Mario, Nardozzi Pasquale, Rossini Elio, Zuffi Giona, Dall’Osso Paolo, Dall’Olio Ferruccio, Baldini Enea, Montroni Alessandro, Ansaloni Alfredo (e furnarì), Rocchi Elvezio, Ferrari Giuliano, Costa Cesare. Quest’ultimo fu, senza dubbio, il migliore fra tutti.

In quegli anni si correva per pura passione: le strade erano orribili, piene di polvere, faticosissime. Non parliamo dei premi che nelle gare di scarso rilievo consistevano quasi sempre soltanto in medaglie e diplomi. E anche allora, come oggi, la corsa aveva luogo con "qualunque tempo". Al riguardo, tipica e massacrante fu la corsa svoltasi il 28 aprile 1912 per il titolo di campione imolese di resistenza sul percorso Imola-Scarperia e ritorno, Km. 140 circa. La partenza fu data alle ore 10,45 sotto un violento scroscio di pioggia. Iscritti 14, partenti 4, arrivati 2!!!, e cioè: 1° Dall’Osso Paolo in ore 7 55’ 29"; 2° Uccelli Pietro in ore 8 10’ 56". Il maltempo (nel Giogo c’era anche un po’ di neve) imperversò sui corridori per tutto il percorso, riducendoli a maschere di fango. A Scarperia, dove pure pioveva a dirotto, c’era il controllo a timbro. All’arrivo a Imola dei due superstiti si constatò che il timbro portava la dicitura seguente: pecora Macello Scarperia! Non si è mai saputo se si sia trattato di uno scherzo o di altro...

Dall’Osso era un atleta eclettico che alternava con la massima indifferenza ciclismo e podismo con quale giovamento per l’una o l’altra disciplina è facile immaginare!

Abbiamo accennato alle due edizioni della gara Imola - Piacenza e ritorno (Km. 365) disputatesi rispettivamente nel 1909 e 1910 e che costituiscono le manifestazioni più importanti organizzate dal Club Sportivo Imolese in campo ciclistico.

La prima edizione si svolse il 24 ottobre 1909 e radunò alla partenza un discreto lotto di corridori di rilievo fra i quali i francesi Menager, Maitron e Cornet che durante l’annata avevano già raccolto allori in Francia. Menager aveva infatti vinto una tappa del Tour e gli altri due avevano ottenuto diversi piazzamenti d’onore. Prima dell’alba giunse la notizia che il corridore Chiodi aveva staccato il gruppo di oltre un’ora, approfittando dell’oscurità, il via infatti era stato dato a notte ancora fonda, il che rendeva più facile l’evasione. Furono i tre francesi che accortisi della fuga organizzarono la caccia. Il gruppo si ricompose e i corridori giunsero poi al traguardo finale nel seguente ordine: 1. Menager; 2. Maitron; 3. Petiva Emilio; 4. Costa Cesare (un ottimo corridore di Sesto Imolese che doveva poi classificarsi 6° nel Giro di Lombardia dello stesso anno); 5. Corlaita Ezio; 6. Ferrari Giuliano di Imola; 7. Pavesi Eberardo; 8. Erba Angelo; 9. Cornet; 10. Chiodi Luigi. Seguirono altri sei, fra i quali gli imolesi Rossini Elio e Baldini Enea, classificatisi al 14° e 15° posto.

Nell’attesa, lungo il Viale dei Cappuccini, si svolse una riunione atletica fra cui il doppio giro podistico di Imola di Km. 10 con grande entusiasmo di folla.

La seconda ed ultima edizione ebbe luogo il 4 settembre 1910 con traguardo finale lungo il Viale dei Cappuccini dove era stata eretta una tribunetta in legno sulla quale erano saliti i membri della Giuria con alcuni notabili della città e che crollò, fortunatamente senza conseguenze, poco prima dell’arrivo.

12 i partenti, di cui 8 giunti al termine: 1. Azzini Luigi di Milano; 2. Bordin Lauro di Rovigo; 3. Dradi Fedele di Alfonsine; 4. Sonetti Alberto di Piombino; 5. Brasey Canzio di Cesena; 6. Borgarello Vincenzo di Torino; 7. Fiore di Torino; 8. Tarabusi Ugo (mezavos) di Imola.

L'arrivo fu compromesso da Borgarello che cadde nell’abbordare la curva che dalla Via Emilia porta al Viale Cappuccini provocando lo sbandamento del gruppo e forse falsando l’ordine. Egli, dotato di notevole spunto di velocità, era già e divenne sempre più corridore molto noto. Nell'attesa fui organizzata la solita riunione ciclo-podistica: la gara su Km. 10 fu vinta da Fava Aduo di Bologna, seguito al 5° posto dal nostro Dall’Osso Paolo, l’eclettico atleta che, come abbiamo già detto, ha sempre alternato ciclismo e podismo.

Tra il 1908 e il 1912 ad Imola si organizzarono trenta e più gare ciclistiche, fra le quali un campionato emiliano nel 1908 e le due edizioni già ricordate della Imola - Piacenza, nonché molte manifestazioni di altro genere, grazie alla passione e volontà e soprattutto il consenso della cittadinanza che ha sempre partecipato numerosa alle riunioni principali con la contenuta compostezza di quel tempo.

Quando certe gare si svolgevano alle Acque Minerali (cross ciclistici e podistici, gare di atletica, ecc.) era presente anche la Banda Cittadina che dava così un tono festoso a tutto l’insieme del programma sportivo.

Nel 1913 praticamente non esistono più nella nostra città Sodalizi sportivi con basi solide e programmi ben definiti. C’è qualche cosa in giro che non è normale... Si sente parlare di dimostrazioni irredentistiche, nascono le agitazioni politiche... si sente dire, fra l’altro, che la propaganda sportiva è dannosa alla gioventù la quale invece ha il dovere di dedicare ad altre attività le proprie azioni. Si registra anche un tentativo di sciogliere un circoletto sportivo sito in Via XX Settembre dove alcuni appassionati si radunano ogni sera per discussioni innocenti.

Un brutto episodio invece si registrò il 15 giugno 1913. Si stava disputando il 4° Giro di Romagna con passaggio da Imola attraverso il centro della città. Transitarono per primi i fratelli Cantoni Mansueto ed Armando, seguiti ad un centinaio di metri dal gruppo composto da una quarantina di corridori, che fu accolto sotto il voltone dell’orologio da una salve di fischi ed insolenze. Le macchine al seguito ebbero pure accoglienze ostili con grida di " abbasso lo sport ". L’ultimo corridore che transitò (Cocchi di Milano) fu percosso e dovette difendersi a pugni!

Tale incidente gettò Imola in cattiva luce, richiedendoi in seguito un grande sforzo per sfondare e fare riacquistare alla città il credito sportivo perduto.

Il 20 marzo 1920 nasce l'Unione Sportiva Imolese, con sede presso l'Albergo Italia. Verso la fine di quell'anno su invito del giovane amico Giovanni Santandrea, l'Unione Sportiva entra a far parte dell’ U. S. Imolese da poco ufficialmente costituita che curava quasi esclusivamente il settore "Calcio".

La prima cura dei soci dell'U.S.I. fu quella di dare un volto, un insieme organico al Sodalizio, costituendo regolarmente le tre sezioni: ciclismo, calcio, atletica leggera con a capo per ciascuna un dirigente responsabile. Le altre sezioni sorsero in seguito. Nonostante la Società avesse sede nell’Albergo Italia, immancabilmente ogni sera i suoi soci si radunavano al Bar Sport, dove il proprietario Gino Tamburini li attendeva per iniziare quelle solite discussioni su fatti e avvenimenti sportivi che non terminavano mai...

In poco tempo la Società aumentò notevolmente i suoi iscritti raccogliendo simpatie da ogni parte anche se il momento politico, nel 1921, era piuttosto burrascoso.

2 ottobre 1921. L’Unione Sportiva organizza una corsa ciclistica d’incoraggiamento (certe gare allora si chiamavano anche così) sul percorso Imola - Castel del Rio - Coniale e ritorno. Numerosi i partecipanti, fra i quali il giovane Antonio Placci di Bubano. Inutile ricordare ancora lo stato delle strade che erano maltenute, piene di polvere e sconnesse. Alla partenza il Placci si attardò alcuni secondi per riparare lo sterzo allentato. Ripartì a testa bassa per riprendere il gruppo, ma causa il polverone sollevato dai corridori che lo precedevano non si avvide di un barroccino che veniva in senso contrario. Un urto in pieno, uno schianto terribile e la morte.

Il luttuoso avvenimento sconvolse per parecchio tempo l'Unione, che per alleviare il dolore della famiglia e andare incontro ai loro bisogni, organizzò una sottoscrizione che fu estesa anche agli ambienti sportivi di Bologna e che fruttò una discreta somma di denaro. Fu in quel momento che nacque l'idea di promuovere una iniziativa un po’ diversa dalle solite, qualche cosa insomma che rimanesse nel tempo come degno ricordo del sacrificio di un martire dello sport.

Nella primavera inoltrata del 1922 l’idea fu quella di organizzare una gara per juniores, fuori classe e dilettanti (erano queste le tre categorie che potevano correre insieme) intitolandola ad Antonio Placci con la speranza e la certezza che nel tempo la corsa avrebbe avuto sempre maggiore importanza, come infatti è avvenuto dopo peripezie e interruzioni di ogni genere.

Quella stessa Coppa Placci che ancora oggi l'Unione Sportiva Imolese organizza con successo. Anche allora c’era il problema finanziario da risolvere. Non c’erano industrie fiorenti come oggi, non esistevano Enti potenti e noti su cui appoggiarsi, per cui l’opera era veramente eroica.

E ci lusinghiamo che la gioventù di oggi si ricordi di noi, delle nostre lotte, non per ricevere un premio o una lode retorica, ma per dire e ripetere che la nostra città trovò sempre e in ogni momento e di fronte a difficoltà gravissime, trovò sempre ripetiamo, uomini e tempre piene di fede, energia e speranze per il nostro avvenire sportivo e la nostra dignità di cittadini all’avanguardia dello sport italiano.

(Da uno scritto di Paolo Ciotti 1966)

L'Albo d'Oro della Coppa Placci

1923 1. DAL FIUME ENEA imolese, che sarà 5°al giro d'Italia 2. Poresini Giuseppe 3. Morrtevecchi Antonio
1924 1. PETIVA EMILIO 2. Dal Fiume Enea 3. Candini Antonio
1925 1. PETIVA EMILIO 2. Gilli Battista 3. Piemontesi Domenico
1926 1. VALLAZZA ERMANNO 2. Dal Fiume Enea 3. Pomposi Mario
1927 1. SIMONI ALEARDO 2. Cavallini Aristide 3. Pancera Giuseppe
1928 1. FOSSATI PIETRO 2. Grandi Alberto 3. Martelli Rodolfo
1946 1. LOGLI NEDO 2. Cocchi Ezio 3. Ferrari Pietro
1948 1. CASOLA LUIGI 2. De Zan Italo 3. Pugnaloni Ubaldo
1949 1. SOLDANI RENZO 2. Salimbeni Virgilio 3. Barozzi Danilo
1950 1. ZAMPIERI GIAN CARLO 2. Castellucci Leo 3. Carrea Andrea
1953 1. MAGGINI LUCIANO 2. Barozzi Danilo 3. Fornara Pasquale
1962 1. CRIBIORI FRANCO 2. Cerato Alcide 3. Bariviera Vendramino
1963 1. BALDINI ÈRCOLE 2. Battistini Graziano 3. Cerato Aloide
1964 1. DE ROSSO GUIDO 2. Durante Adriano 3. Fantinato Bruno
1965 1. DANCELLI MICHELE 2. Ziiioli Italo 3. Passuello Adriano
1966 1. GIMONDI FELICE 2. Pifferi Aldo 3. Ziiioli Italo
1967 1. ARMANI LUCIANO 2. Dancelli Michele 3. Basso Marino
1968 La gara venne sospesa a causa di un nubifragio:
erano al comando Gimondi, Motta, Dancelli, Balmamion, Bodrero, Laghi, De Prà, Passuello, Chiappano e Taccone.
1969 1. BALLINI ROBERTO 2. Kindt Roger 3. Zandegù Dino
1970 1. COLOMBO UGO 2. Santambrogio Giacinto 3. Bitossi Franco
1971 1. COLOMBO UGO 2. Pettersson Thomas 3. Polidori Giancarlo
1972 1. DE VLAEMINCK ROGER 2. Bergamo Marcello 3. Boifava Davide
1973 1. ZILIOLI ITALO 2. Fabbri Fabrizio 3. Maggioni Enrico
1974 1. DE VLAEMINCK ROGER 2. Moser Francesco 3. Merckx Eddy
1975 1. MOSER FRANCESCO 2. Bitossi Franco 3. Gimondi Felice
1976 1. BERTOGLIO FAUSTO 2. Moser Francesco 3. Gavazzi Pierino
1977 1. BASSO MARINO 2. Saronni Giuseppe 3. Gavazzi Pierino
1978 1. GIAMBATTISTA BARONCHELLI 2. Ceruti Roberto 3. Barone Carmelo
1979 1. BATTAGLIN GIOVANNI 2. D'Arcangelo Stefano 3. Johansson Bernt
1980 1. BATTAGLIN GIOVANNI 2. Panizza Wladimiro 3. Contini Silvano
1981 1. VANDI ALF10 2. Masciarelli Palmiro 3. Amadori Marino
1982 1. CHINETTI ALFREDO 2. Leali Bruno 3. Bombini Emanuele
1983 1. AMADORI MARINO 2. Cassani Davide 3. Vandi Alfio
1984 1. DA SILVA ACACIO 2. Algeri Pietro 3. Chioccioli Franco
1985 1. CONTINI SILVANO 2. Leali Bruno 3. Cortinovis Tullio
1986 1. BONTEMPI GUIDO 2. Leali Bruno 3. Baronchelli G. Battista
1987 1. GHIROTTO MASSIMO 2. Gavazzi Pierino 3. Bugno Gianni
1988 1. GAVAZZI PIERMATTIA 2. Saronni Giuseppe 3. Fondriest Maurizio
1989 1. CHIAPPUCCI CLAUDIO 2. Ballerini Franco 3. Passera Camillo
1990 1. GIANETTI MAURO 2. Cenghialta Bruno 3. Piovani Maurizio
1991 1. DUFAUX LAURENT 2. Gotti Ivan 3. Caritoux Eric
1992 1. BRUYNEEL JOHAN 2. Chiappucci Claudio 3. Cassani Davide
1993 1. SCIANDRI MAXIMILIAN 2. Furlan Giorgio 3. Ugrumov Pietre
1994 1. LECCHI ANGELO 2. Casagrande Francesco 3. Furlan Giorgio
1995 1. CASAGRANDE FRANCESCO 2. Cassani Davide 3. Donati Massimo
1996 1. TAFI ANDREA 2. Lebianc Lue 3. Virenque Richard
1997 1. ZBERG BEAT 2. Celestino Mirco 3. Baronti Alessandro
1998 1. ZANETTI MAURO 2. Celestino Mirko 3. Donati Massimo
1999 1. CELESTINO MIRKO 2. Barbero Sergio 3. Casagrande Francesco
2000 1. CASAGRANDE FRANCESCO 2. Rebellin Davide 3. Bartoli Michele
2001 1. BETTINI PAOLO 2. Faresin Gianni 3. Mazzoleni Eddy
2002 1. TOSATTO MATTEO 2. Bortolami Gian Luca 3. Rebellin Davide
2003 1. DI LUCA DANILO 2. Rebellin Davide 3. Camenzind Oscar
2004 1. BERTAGNOLLI LEONARDO 2. Rebellin Davide 3. Simeoni Filippo
2005 1. VALOTI PAOLO 2. Kirchen Kim 3. Khalilov Mikhail
2006 1. NOCENTINI RINALDO 2. Sella Emanuele 3. Ferrara Raffaele
2007 1. BERTOLINI Alessandro 2. KUNITSKI Andrei 3. ZAGORODNY Volodymyr
2008 1. PAOLINI Luca 2. GASPAROTTO Enrico 3. FINETTO Mauro



isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:48
10/03/2010
Ercole Baldini, "il treno di Forlì"

ERCOLE BALDINI

Record dell'ora nel 1954 e nel 1956

Campione olimpico nel 1956

Vincitore del Giro d'Italia nel 1958

Campione del mondo nel 1958

Nasce il 26/01/1933 a Villanova, un paesino dell'entroterra romagnolo a 5 km. da Forlì.

La sua adolescenza non è molto diversa da quella dei suoi coetanei, almeno fino all'età di 17 anni, quando la passione per la bicicletta lo induce a lasciare gli studi.
Nel 1951 vince sei gare ed è 3° al Campionato Italiano degli Allievi. Nel 52-53 e 54, fra i dilettanti solo poche, ma significative vittorie; tuttavia nella sua pedalata c'è qualcosa di impalpabile, anzi di magico, che lo fa apparire al di sopra dei vari enfant de pajs che pullulano nella sua Romagna.

Verso la fine del 1954, durante la consueta settimana dei primati, batte il Record dell'ora: Km. 44,870 la distanza percorsa.
All'inizio del 56, ultimato il servizio militare, il Commissario Tecnico Giovanni Proietti si assume il compito di fare esprimere a Baldini le sue grandi potenzialità.

Coglie l'occasione e lo iscrive al Campionato Italiano dell'inseguimento, al Velodromo Vigorelli di Milano, nonostante i rari approcci con la pista, ma il Maestro sa il fatto suo e lo scolaro ubbidiente esegue con freddezza.

Raggiunta la finale, deve incontrare Leandro Faggin, un campione del mondo 2 anni prima. Baldini ha la meglio e nonostante un voluto rallentamento nel finale giunge ad un solo decimo dal record del mondo. Trascorrono appena due mesi ed a Copenaghen, nel corso dei Campionati Mondiali, vi è per Faggin l'opportunità della rivincita; ma il velodromo di Ordrup conferma il verdetto del Vigorelli: 1° Baldini - 2° Faggin.

La freschezza dimostrata alla fine di questi incontri apre nuovi orizzonti nei programmi di Proietti e del suo pupillo: ormai è deciso, si cercherà di migliorare il record dell'ora stabilito nel'54 e che nel frattempo un certo Jacques Anquetil ha strappato al Campionissimo Fausto Coppi conquistato 16 anni prima. Anche questa volta il compito sembra proibitivo, ai limiti dell'impossibile, ma non per Baldini: in un Vigorelli affollato all'inverosimile di folla in delirio, il Record assoluto dell'ora è frantumato al primo tentativo. Dopo essersi allenato battendo i record assoluti dei 10 e dei 20 Km. percorre in un'ora Km. 46,393.


Ma Baldini ha ancora in serbo tante energie e pensa alle Olimpiadi che si svolgeranno in Australia ai primi di dicembre. Obiettivo la strada, e non più la pista, perché è quella che consacra il Campione vero. Nei giorni precedenti la gara durante un allenamento, viene staccato dai francesi che si affrettano a definirlo soltanto un pistard. Ma nella gara olimpica, su una breve salitella, Baldini stacca tutti e va a conquistare la vittoria Olimpica. Nessuno ipotizzava la vittoria di un italiano al punto che non si troverà l'inno di Mameli che verrà cantato, con grande commozione e orgoglio, dai numerosi italiani emigrati in Australia.

A Baldini viene assegnato il Trofeo Gentil, massimo riconoscimento per un ciclista che per la prima volta viene dato ad un dilettante elevandone così la caratura.

Nel 1957 è chiamato a confermare fra i professionisti quanto di buono aveva fatto fra i dilettanti e le attese non vanno deluse: stravince la tappa a cronometro del Giro d'Italia ad una media sbalorditiva che manderà fuori tempo massimo una ventina di corridori costringendo la giuria a ricorrere ad un cavillo giuridico per riammettere almeno una parte dei ritardatari; è 3° nella classifica finale del Giro.

Vince poi il Giro di Romagna, del Lazio, il Campionato Italiano ed in coppia con Coppi, il Trofeo Baracchi, ultimo successo di prestigio per il Campionissimo.


Le premesse per un grande 1958 ci sono tutte, infatti nella seconda tappa del Giro d'Italia è già maglia rosa; nella cronometro di Viareggio ripete l'impresa dell'anno precedente. Nella tappa che parte da Cesena, nel cuore della sua Romagna, vorrebbe fare bella figura, ma l'arrivo è in salita Boscochiesanuova e i pretendenti alla vittoria sono campioni come Gaul, Bahamontes ed altri non certo abituati a fare sconti sulle montagne.

Il tratto pianeggiante che da Cesena porta a Verona fiacca le gambe degli scalatori, ma non quelle di Baldini, eccezionale passista. A metà salita, dopo aver resistito a numerosi attacchi, prende l'iniziativa e se ne va, staccando tutti: lo rivedranno solo all'arrivo: da un punto di vista tecnico può essere considerata forse la sua più grande impresa che lo consacra Campione capace di vincere in qualsiasi specialità e contro gli avversari più forti. Confermerà poi questo successo vincendo il tappone dolomitico con autorevolezza e conquistando la maglia rosa finale.

Il Giro d'Italia del 1958 è suo!


Non parteciperà al Tour per prepararsi adeguatamente al campionato mondiale e la scelta è azzeccata. A Reims, in fuga subito dopo la partenza, stacca uno ad uno i suoi avversari giungendo solo al traguardo: è Campione del Mondo dei Professionisti su strada, ha raggiunto l'apice della sua carriera: un ragazzo di Romagna siede sul trono più prestigioso dell'Olimpo ciclistico.


Purtroppo però da quel giorno inizia un lento ed inesorabile declino: per lui sarà sempre più difficile e più raro ottenere quel perfetto equilibrio che in passato gli aveva premesso di vincere a man bassa in Australia come in Francia, in pista come in strada. Le rare volte che riusciva a raggiungere questo equilibrio poteva ancora battere Anquetil nella cronometro di Forlì e Gaul e Bahmontes nel tappone alpino del Tour del 1959 con arrivo ad Aosta.

L'interruzione anticipata di una tappa del giro 1962 dovuta alla neve ed una notte caldissima che gli impedì di prendere sonno al Tour prima di una cronometro, gli hanno sicuramente tolto qualche cosa.
Il 4 novembre 1964 conclude la sua carriera agonistica giungendo secondo nel Trofeo Baracchi in coppia con Adorni.

Il ciclismo mondiale perde l'elemento più significativo degli ultimi anni, uno che ha saputo dominare su tutti i percorsi, ma soprattutto, perde un campione che ha saputo perdere senza umiliarsi perché prima aveva saputo vincere senza umiliare. Soprattutto è per questa sua dote che i corridori venuti dopo di lui lo hanno apprezzato come Direttore Sportivo (Ignis e Bianchi), poi lo hanno voluto come Presidente della loro Associazione ed infine, all'unanimità, lo hanno eletto Presidente della Lega. E' stato anche valido collaboratore di Veerbruggen, presidente dell'U.C.I..


A Baldini anche il mitico Secondo Casadei dedicò una canzone: cliccate qui per ascoltarla

isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:48
isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:51
Ettore Pasini, il più forte pistard del mondo era di Bertinoro
Ettore Pasini, nato a Bertinoro (FO) nel 1874



Nel 1897 fu definito il più forte corridore su pista del mondo
Negli albori del ciclismo in Romagna ogni ricercatore trova subito un grande nome che ha fatto parlare di sé in tutta Europa: Ettore Pasini. Nato da una famiglia piccolo borghese, Pasini si diede con convinzione alla bicicletta, dopo aver terminato gli studi superiori in seminario e prima di dedicarsi all'ingegneria meccanica a Bologna. Nell'ultimo decennio del secolo scorso il ciclismo si consumava soprattutto su velodromi in terra battuta o "tondini" come sarebbe più giusto definirli, che sapevano radunare folle incredibili. Forlì era la città riferimento della Romagna e proprio lì, il giovane Ettore, aveva conosciuto


Alfredo Matteucci e Ugo Bonarotti: il maestro che capì quanto fosse bravo. Così Pasini, dopo una stupenda vittoria nella Rimini - Bologna, decise di dedicarsi interamente alla pista, dove, in poco tempo, divenne un beniamino per il suo scatto veloce e potente e per l'estrema correttezza. Di struttura muscolare possente portò il suo celebre ciuffo ed i suoi baffi di tipico stile ottocentesco, a sfrecciare sulle piste di tutta Europa, impegnando e battendo a volte con irrisoria facilita i migliori pistard mondiali.

Campione italiano juniores nel 1895, fu classificato secondo velocista nazionale di quell’anno dietro a Pontecchi. Esplose nel ’96, quando vinse il G.P. di Milano, il Derby Fiorentino, il G.P. di Firenze, il G.P. d'Alessandria, superando nettamente, oltre ai migliori italiani, anche i primissimi al mondo, a cominciare dall’iridato Bourillon. Ma la sua migliore stagione fu senza dubbio il 1897, quando mise in fila tutti i più forti velocisti mondiali nelle classiche più importanti e fu considerato il numero uno al mondo, pur non vincendo il titolo che andò al tedesco Arend. L'anno seguente, nonostante un certo calo, forse dovuto ai primi sintomi del male che lo portò ad una morte precoce, vinse ugualmente a Torino, Roma, Moulins, Modena ed Anversa.


Inutile dire che le sue vittime, anche in quell’anno, furono di grande valore. Nel ‘99 esordì con una gran vittoria a San Remo, ma la malattia ebbe il sopravvento per un lungo periodo. Si ripresentò sul finale di stagione, giusto in tempo per vincere il G.P. di Parigi su Grogna, nel gran tempo di 11"8, una performance che se la dovessimo rapportare ai mezzi di oggi, sia per quanto riguarda il suolo delle piste che per le stesse bici, potrebbe comodamente valere un 10"3-10"4. Roba da grande campione, dunque! L’arrivo del nuovo secolo segnò, purtroppo, il quasi definitivo stop alla carriera del grande velocista bertinorese.


II suo canto del cigno a Moulhouse, dove batté fra gli altri anche Jacquelin che poi, poche settimane dopo, si laureò campione mondiale. La grandezza di Ettore Pasini si vide compiutamente nel tandem, in coppia con l’amico lombardo Gian Fernando Tommaselli. I due vinsero 93 gare perdendone solo tre!

Se ci fosse stato in quegli anni un campionato mondiale della specialità internazionalmente riconosciuto, i due, sarebbero stati iridati perlomeno un paio di volte. Lo furono ugualmente nella considerazione generale, ed a ben vedere, non è che un’etichetta, cambi molto la sostanza.


Ettore Pasini morì di nefrite il primo gennaio del 1909. Prima di spirare, volle che tutti i trofei e medaglie vinte sulle piste di mezza Europa, fossero devolute a comitati sportivi della Romagna, affinché le mettessero in palio in gare riservate ai giovanissimi. Alla memoria di un sì grande personaggio, per tanti anni fu organizzata a Bertinoro, da una società che portava il suo nome, una manifestazione riservata ad una categoria giovanile. Anche a Forlì, per lungo tempo, fu proposta un’analoga corsa.

"…...Egli soleva generalmente assumere il comando ai 400 metri, partiva quindi progressivamente e sviluppava una tale andatura che nessuno sul rettilineo opposto all’arrivo poteva rimontarlo, mentre solo pochissimi, fra i migliori, era dato qualche volta precederlo di strettissima misura sul traguardo, dopo lotte palpitanti sul rettilineo finale. Nel 1897 che segnò il periodo della sua forma più splendente, Ettore Pasini ebbe un dominio pressoché incontrastato nel campo degli sprinter italiani…..”
(Umberto Dei)

“Ero ragazzo e ricordo Pasini ancora come lo vidi la prima volta, sulla Montagnola di Bologna nel 1895, ricinto il poderoso corpo da una maglia nera e con due baffoni che incutevano il massimo rispetto. Mi impressionò per il suo scatto potente e per la sua volata tenace e resistente. Corridore leale, buono e cavalleresco come tutti gli abitanti della terra di Romagna, era benvoluto da tutti…..”
(Uberto Martinelli)



isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:51
isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:55
Diego Ronchini


Imola (BO) 9/12/1935

Imola (BO) 18/04/2003

Sette anni fa ci lasciava Diego Ronchini. E' stato senza dubbio uno dei corridori che più hanno lasciato traccia, fra i romagnoli, a livello dilettantistico, anche perché le sue vittorie furono eclatanti e di gran pregio. Da ricordare il suo rapporto con la maglia rossoverde della Sammarinese del già mitico "Midì", ed i suoi successi al Giro di Lombardia per "puri", nonché, sempre fra i dilettanti, il Giro delle Marche, la Ruota d'Oro, il Gran Premio Pirelli.

Il debutto professionistico di Ronchini, fu di quelli che per un verso o per l'altro, nessuno può scordare. Giro di Lombardia del 1956: in quella classica tanto cara a Fausto Coppi. Il destino propose una lunga fuga proprio del Campionissimo e di questo debuttante romagnolo dalla grande capacità sul passo. Ronchini si comportò come il più devoto dei gregari, con gambe da campione sostenne il mitico Fausto come meglio non poteva.


Ma contro di loro ci mise lo zampino una signora, che da qualche anno divideva gli italiani e si faceva odiare: la "dama bianca". Fiorenzo Magni nel corso di un'intervista ebbe modo di testimoniare quanti gestacci e parole di quella signora, fossero riusciti a far riscattare in lui antiche forze.

Fatto sta che col ritrovato "leone delle Fiandre", anche gli altri inseguitori ripresero a pedalare come se di mezzo ci fosse l'onore più grande. A pochi chilometri dal Vigorelli, Ronchini e il Campionissimo furono raggiunti e, nell'epilogo sull'anello milanese, un maestoso Coppi dovette cedere di pochi centimetri alla freschezza e alla verve del biondo francese Andrè Darrigade.

Per Diego, dunque, un battesimo col fuoco. Ma la classe e le predisposizioni dell'imolese verso questa classica non tardarono a fuoriuscire ed infatti, l'anno dopo, Ronchini trionfò nella classicissima di chiusura.


Nel 1958, Ronchini si impose nel Giro della Sicilia e nel Giro dell'Emilia. Era già considerato una realtà del ciclismo nazionale. Realtà che tornò ruggire nel 1959, quando con uno sprint mozzafiato si aggiudicò col Giro del Lazio anche la maglia tricolore.
Al Giro d'Italia di quell'anno, l'imolese si inchinò solo a quello straordinario camoscio che rispondeva al nome di Charly Gaul.

Il foglio rosa finale collocò Ronchini al terzo posto, a 4" da Jacques Anquetil, ma tutto per un pacchiano errore del giudice di arrivo della tappa di St. Vincent, che attribuì al francese dieci secondi in meno del reale.

Nel 1960, in maglia tricolore, Diego vinse il Giro del Veneto e poi, in coppia col grande talento Romeo Venturelli, il Trofeo Baracchi.
Nel 1961, colse di nuovo il traguardo del Giro dell'Emilia e l'anno dopo quello del Giro di Romagna. Dopo aver indossato dieci giorni la maglia rosa al Giro d'Italia del 1963 (finì quell'edizione al quinto posto), Ronchini raggiunse il suo ultimo successo nel 1964, al Giro di Reggio Calabria.

Fu poi valido scudiero di Gimondi nel suo Tour vittorioso. Lasciò il ciclismo corso nel 1966, in seguito ad un grave incidente mentre s'allenava.

La sua carriera comunque, già anche prima si era dovuta inchinare alla sfortuna, infatti, un male pernicioso, l'ameba, ne aveva menomato il rendimento. Fu azzurro ai mondiali del '59 (5°), '60 e '61. Chiusa la parentesi agonistica, rimase nel ciclismo, assumendo la direzione di team dilettantistici e professionistici.


isypan
00mercoledì 20 ottobre 2010 14:55
isypan
00giovedì 21 ottobre 2010 09:10
Nato il 1° Marzo 1930 a Bilancino ( Barberino di Mugello -Firenze) morto il 1° Febbraio 1980 a Firenze.
Passista scalatore e discesista. Professionista dal 1953 al 1965.
Il "Leone del Mugello" ha ripetutamente offerto prova della sua classe e delle qualità di campione nel corso di una carriera inadeguata ai suoi meriti reali e al suo straordinario impegno agonistico. Il suo comportamento in corsa di era così imprevedibile e aggressivo da spiazzare gli avversari fino smontarne ogni previsione tattica. Nessun compromesso, nessuna strategia, solo una forza inaudita e una tenacia senza pari messa al servizio del pedalare.

Sarebbe stato lui il campione del mondo dei dilettanti nel 1953 a Lugano se, mentre era solo in testa al traguardo dopo numerosi tentativi di fuga, non fosse stato raggiunto dall'azzurro Filippi, che lo battè allo sprint.
Sarebbe stato il primo dopo Coppi nel 1960, a realizzare l'accoppiata Giro -Tour se un colmabilissimo distacco di 28" non lo avesse separato dal francese Anquetil maglia rosa a Milano, mentre Gastone trionfò due mesi dopo a Parigi. Nencini provò quell'anno, la soddisfazione di ricevere le felicitazioni, nel corso della tappa Besancon-Troyes, al passaggio da Colombey-Lex-Deux-Eglises, del Generale Charles De Gaule, Presidente della Francia, che dal bordo della strada volle salutare il Tour de France che a sua volta si fermò per rendergli omaggio.

"Gastone Nencini, Fiorentino" - De Gaulle gli strinse la mano sudata e gli sorrise - "Bravo. Parigi è ormai vostra. Lei vince il Tour perché lo ha combattuto ogni giorno. Buona fortuna per l'avvenire". Gastone rispose con un emozionato "Merci".
Vinse il Giro d'Italia nel 1957 anche in virtù dell'attacco con Bobet, Geminiani, Baldini, alla maglia rosa Gaul. Memorabile la sua coraggiosa straordinaria discesa del Sempione: quella vittoria fu il giusto riconoscimento per la mancata vittoria nel 1955 allorché, degno leader della corsa rosa a due tappe dalla fine, fu attaccato da Magni e Coppi e staccato solo in seguito a più forature ed all'accordo fra i due corridori. Questo lo condannò all'ingiusta sconfitta tecnica, ma lo decretò alla vittoria morale scandita dai tifosi, dalla stampa e dalla critica sportiva.

Il Giro D'Italia e il Tour de France sono state le corse che lo hanno elevato alla statura di grande campione: 7 tappe e 10 maglie rosa indossate, media record stabilita nel 1957 con 37,488 che ha resistito per ben 26 anni. Nel Tour 4 tappe vinte e 14 maglie gialle.

Nel suo palmares ci sono anche la tre Valli Varesine nel 1956, Il Giro di Reggio Calabria nel 1957, il Gran Premio di Nizza nel 1960 e altre gare. Per alcuni anniNato il 1° Marzo 1930 a Bilancino ( Barberino di Mugello -Firenze) morto il 1° Febbraio 1980 a Firenze.
Passista scalatore e discesista. Professionista dal 1953 al 1965.
isypan
00giovedì 21 ottobre 2010 09:13
Glauco Servadei "parulè"

Glauco Servadei

nato a Forlì il 28 luglio 1913

morto a Forlì il27 dicembre 1968

Corse con Fausto Coppi alla Bianchi nel 1942

Si segnalò giovanissimo come un autentico cacciatore di traguardi. La sua carriera fin dalla categoria allievi, che allora era l'unica a precedere quella dei dilettanti, fu costellata di successi di gran pregio che fecero divenire questo ragazzino figlio di un imbianchino, un immediato punto di riferimento per tutto il movimento ciclistico romagnolo.

E come da buona tradizione della nostra terra, arrivò subito il sopranome che, nel caso di Glauco, riprese interamente quello che la gente aveva destinato al padre: "Parule".

Dal 1930, l'anno del suo debutto, al 1936, Servadei, conquistò più di 60 vittorie. Soprattutto di pregio e di vasta eco, furono i suoi successi da dilettante, dove assieme all'inseparabile amico Giorgio Ceroni, all'interno del sodalizio bolognese "Velo Sport Reno", seminò risultanze e interessi pronti a cementare certezze, anche in chi doveva curare le formazioni olimpiche. Con l'amico Giorgio, "Parulè" fu tesserato "d'imperio" per l'A.S. Roma, ed i due, assieme a Toccaceli e Chiappini, vinsero nel 1935, la Coppa Italia, ovvero il campionato italiano dilettanti a squadre.

Servadei, atleta dal fisico longilineo, forte sul passo, bruciante nelle volate e discreto in salita, era dunque ormai lanciatissimo. Finì così in maglia azzurra, sia ai Mondiali che alle Olimpiadi del 1936 a Berlino, dove per un secondo, perse la medaglia di bronzo a squadre.

A fine stagione, in occasione del Giro di Lombardia, passò professionista. Già alla prima partecipazione al Giro d'Italia, fu subito gran protagonista, grazie a due successi di tappa, a Vittorio Veneto e a San Pellegrino, ed un buon quattordicesimo posto nella classifica finale.

II 1938, segnò per il forlivese la gloria internazionale, in virtù di due stupende vittorie di tappa al Tour de France, a Bordeaux e a Laon. Parulè chiuse poi quel Tour al ventesimo posto. Nel 1939, già evidente del ciclismo italiano, ottenne un raggiante successo di tappa al Giro nella sua Forlì, su quella pista del Polisportivo Morgagni, che l'aveva visto beffato da Bini due anni prima. Chiuse il Giro del '39 al tredicesimo posto. Nel 1940, sempre nella "corsa rosa" vinse tre tappe: la Roma-Napoli, la Treviso-Abbazia e la Ortisei-Trento, finendo ventiduesimo nella classifica finale. Due anni dopo, fece sua la Coppa Bernocchi e chiuse al nono posto il primo Giro d'Italia di guerra.

Nella stagione successiva si aggiudica il G.P. di Roma, il Giro della Provincia di Milano a cronometro, in coppia con Fiorenzo Magni, la Milano Mantova e conclude al primo posto nella classifica del Giro d'Italia fin lì corso. Una vittoria che non è passata negli annali della storia per l'inco mpletezza di quell'avvenimento, ma che dimostrava i valori e la forza di questo grande figlio di Forlì.
L'arrivo della seconda guerra mondiale frenò dunque Servadei nel pieno della sua maturità d'atleta.

Già divenuto nel 1942 compagno di colori di Fausto Coppi nella mitica Bianchi, alla ripresa delle corse, nel 1946, si dedicò, fino al ritiro avvenuto nel 1949, ad un prezioso contributo verso il campionissimo. Anche da professionista Glauco si dimostrò corridore abbastanza completo, fortissimo in volata e forte nel passo, mostrò in salita quel punto un po' debole che gli precluse un palmares migliore. Ma lo spessore della sua carriera viene a noi anche da uno sguardo attento a quella miriade di piazzamenti di prestigio che lo fecero, per un lustro, corridore di gran rilevanza nazionale ed internazionale.


Di carattere buono e gentile e con la simpatia del romagnolo tipico, Servadei ci ha lasciati prematuramente il 27 dicembre del 1968. Ma le sue imprese, come detto agli inizi di questo ritratto, rimangono a patrimonio di Forlì e di quel ciclismo che ha amato fino all'ultimo dei suoi giorni

isypan
00giovedì 21 ottobre 2010 09:13
isypan
00giovedì 21 ottobre 2010 09:16
Giovanni Gerbi, il Diavolo Rosso
Ostinato, innovatore, perfezionista, furbo. Un mito: Giovanni Gerbi, il primo vincitore del Giro di Lombardia
Piombò nel bel mezzo di una processione mentre era in fuga. Il prete alla vista di questo indiavolato con un maglione rosso, lo definì con un soprannome che ancora oggi è più conosciuto del suo stesso nome: il diavolo rosso.
Giovanni Gerbi nasce il 4 giugno 1885 nella borgata Trincere, un gruppo di case che si affaccia sulla sponda sinistra del Tanaro, a pochi km da Asti. E' il primogenito di una famiglia che, pur non essendo ricca, riesce a tirare avanti abbastanza tranquillamente. Giovanni vive una fanciullezza molto vivace dove si segnala per la sua irruenza ed esuberanza; a undici anni viene mandato a lavorare da uno scalpellino ma vi resiste per pochi giorni come accade da un sarto, da un salumiere, da un fornaio ed in un'impresa di costruzioni.
Giovanni non sopporta questi lavori per più di un mese, ma il padre non demorde e lo conduce a tredici anni da un meccanico di biciclette; e qui Giovanni trova il suo mondo e scopre quel magnifico mezzo di locomozione che è la bicicletta. Comincia a percorrere km su km in sella ad una vecchia bicicletta donatagli dal suo datore di lavoro.
A quindici anni, sommando i suoi risparmi a quelli del padre, riesce a comprarne una dal costo non trascurabile di trenta lire e finalmente si sente "realizzato". Durante una delle sue "gite" in bicicletta, nell'estate del 1900, si reca a Torino dove scorge un gruppo di ciclisti intenti a prepararsi alla partenza di una corsa: si avvicina, parlotta un pò con loro e capisce che non può perdere l'occasione. Si iscrive subito (una lira il costo) e si allinea al via della Torino-Rivoli e ritorno: è la sua prima gara e, nonostante l'inesperienza, coglie subito un onorevole sesto posto. Qualche giorno dopo si reca nuovamente a Torino e partecipa alla Torino-Trana e ritorno dove stavolta giunge secondo al termine di una tumultuosa volata. Giovanni si allena con continuità e quando viene organizzato il Campionato Astigiano di resistenza è tra i primi iscritti.
Sfoggia un maglione rosso che diventerà il suo famosissimo simbolo e, nonostante non fosse favorito, taglia per primo il traguardo, ottenendo la prima vittoria importante. I suoi genitori continuano ad osteggiarlo e verso la fine del 1900 comincia a pensare di abbandorare la città. Nei primi mesi del 1901 si trasferisce a Milano e trova un impiego presso un fornaio. Comincia a recarsi assiduamente nella Piazza d'Armi dove quasi quotidianamente si svolgono delle piccole gare e dove, nonostante non sembri dotato di grande sprint, vince spesso.
Alla domenica se ne andava in giro per la Lombardia a cercare le corse. Vinse la Milano-Magenta e ritorno, la Milano-Varese e la Milano-Pavia poi declassato per irregolarità. Nel provinciale alessandrino andò in fuga da solo, ma a 3 km. dall'arrivo forò e venne ripreso. Nella volata concluse secondo.

A fine 1901 sedicenne contò dieci successi in gare vere. Nel 1902 ancora fra i protagonisti in Piazza d'Armi, a Milano, dove era l'idolo. La Gazzetta dello Sport stava organizzando la Gran Fondo di 540 km. Milano-Torino e ritorno e Gerbi fu fra i 71 partenti. A 2 km. dall'arrivo si preparò la volata; ci fu uno sbandamento e cadde. Vinse Busoni e il diavolo rosso chiuse quinto pedalando con una gamba sola. Si riprese e vinse con la Milano-Trecate, la Milano-Alessandria e la Milano-Erba, pur presentandosi a quest'ultima corsa con l'amico Remondino con 15' di ritardo. I due che non erano stati svegliati per tempo, nella locanda dove erano ospitati, non persero tempo e partirono all'inseguimento degli avversari. Recuperarono l'intero gap superando tutti e concludendo primo e secondo.
Nel 1903, a soli 18 anni, Gerbi diventò professionista. Pochi mesi prima vinse la Coppa del Re la più prestigiosa gara dell'epoca, per distacco, sul traguardo di Novara da autentico dominatore. Pensò solo alle corse, studiando in dettaglio i percorsi, analizzando difetti e debolezze di ogni singolo avversario e si esaltò nella ricerca della perfezione e dell'impresa. Fu un autentico precursore. Il 19 aprile del 1903 vinse la Milano-Alessandria con uno sprint in progressione poi il 10 maggio fece sua la Milano-Piacenza-Genova giungendo tutto solo sulla pista del Bisagno. Seguirono la Milano-Torino ed il Circuito di Cremona. Nella Gran Fondo (600 km.) del 23 luglio partì forte ed a metà gara era già solo al comando, ma non gestì al meglio le forze, entrò in crisi, venne superato e si ritirò. A fine agosto nella Ovada-Acqui-Asti-Novi L.-Ovada venne battuto allo sprint da Carlevaro.
Si accese intanto la rivalità col conterraneo Cuniolo. A settembre si correva la sesta edizione della Corsa del Re ed il Diavolo Rosso compì un'altra impresa arrivando solo al traguardo di Milano. Terminata la stagione su strada Gerbi pensò di esordire su pista e viste le sue carenze in volata scelse il mezzofondo anziché la velocità. L'esordio avvenne a fine ottobre, sull'anello del Trotter di Piazza Doria di Milano, in una Sei Giorni dietro allenatori meccanici, in cui vinse alla grande.
La Francia lo attirò e nel 1904 (a 19 anni) vi ritornò per disputare la Bordeaux-Parigi in cui arrivò decimo. Ma venne poi squalificato con molti altri per aver fruito di aiuti irregolari. Decise allora di andare al Tour rinunciando alle corse del calendario italiano, ma lo concluse alla seconda tappa sul Col de la Republique quando il gruppo, di cui faceva parte, venne aggredito dai tifosi del beniamino locale Faure che era in fuga. Il nemico da colpire era Maurice Garin, ma confusione ed oscurità nell'ignobile attacco alla cieca lo videro ferito. Si rialzò, provò a proseguire, ma qualche chilometro dopo fu costretto al ritiro. Tornò in Italia avvilito oltre che ferito, ma intenzionato a riscattarsi, invece fu costretto al ritiro anche nella Gran Fondo.
A 19 anni visse il suo momento più difficile più per sfortuna che per demeriti. Ma è ancora tanto popolare ed apprezzato, tanto che l'U.V.I. lo iscrisse al mondiale di mezzofondo del 4 settembre 1904 al Velodromo Crystal Palace di Londra. Durante la corsa cade e non diede segni di vita. All'ospedale le sue condizioni apparirono subito molto gravi. Rimase in coma per cinque giorni poi si riprese grazie alla sua eccezionale tempra fisica che gli consentì subito un buon recupero.
Nella prima metà del 1905 gareggiò poco, ma non ottenne risultati. La grinta intatta ed il desiderio di tornare a vincere gli permisero un rivoluzionario sistema di allenamento sempre sullo stesso percorso dove cronometrava i suoi tempi verificando le differenze ed i miglioramenti. Poi iniziò ad andare in salita, realizzando un accenno di quelle che successivamente sarebbero diventate "le ripetute" scattando più volte ad intervalli regolari. Incrementò il numero dei chilometri percorsi e si preparò accuratamente per la corsa nazionale del 23 luglio che vinse dominandola. Nella seconda metà del 1905 si riaffermò come il nostro miglior corridore praticando sempre l'attività di stayer e vincendo a Torino ai primi di ottobre l'assoluto professionisti. L'8 ottobre vinse la Coppa d'Alessandria sul rivale Cuniolo staccandolo di 6'50".
La Gazzetta dello Sport stava organizzando il primo Giro di Lombardia e Gerbi lo preparò scrupolosamente, tanto che ogni giorno si recava sul percorso per verificare la condizione delle strade, ma anche i punti più difficili (quelli in salita) da superare. Migliorò anche la sua aerodinamicità sul sellino per favorire maggior velocità al mezzo dei tratti in discesa. Per la prima volta provò i tubolari invece delle gomme piene, ottenendo non pochi vantaggi. Il 12 novembre la corsa (quasi un mese dopo rispetto ad oggi) e Gerbi la vinse con 40' di vantaggio su Rossignoli. Dominò ancora in tantissime gare a testimonianza di questa sua grande superiorità ed esuberanza fisica di autentico grande campione. La sua scomparsa avvenne in Asti il 7 maggio del 1954 a 68 anni, ma già nella leggenda da alcuni decenni dopo aver vinto tutte le corse più importanti dell'epoca.
Questa la storia sportiva di Giovanni Gerbi

1900 - 1901. La domenica se ne andava in giro per la Lombardia a cercare le corse: vinse la Milano-Magenta e ritorno, la Milano-Lecco, la Milano-Varese e la Milano-Pavia anche se poi questa vittoria gli venne tolta per irregolarità. Nel Campionato Provinciale Alessandrino va in fuga da solo, ma a tre km dall'arrivo fora e viene ripreso; nella volata finale si deve accontentare del secondo posto. Alla fine del 1901 il dilettante Gerbi (non ancora diciassettenne) si è comunque fatto notare e ha vinto una decina di corse vere.
Nel 1902 Gerbi è ancora tra i protagonisti delle sfide nella Piazza d'Armi di Milano dove ormai è già diventato un idolo. La Gazzetta dello Sport organizza la Gran Fondo, corsa di 540 km da Milano a Torino e il 21 giugno Giovanni è tra i 71 partenti di questa autentica ed estenuante maratona. Rimane costantemente nel gruppo di testa, superando tante difficoltà, ma a due km dall'arrivo, mentre si sta preparando la volata, si verifica uno sbandamento e Giovanni cade. Vince Busoni mentre Giovanni giunge al traguardo in quinta posizione pedalando con una gamba sola. Successivamente riprende a vincere, cogliendo la vittoria nella Milano-Trecate, nella Milano-Alessandria e nella Milano-Erba nonostante che in questa ultima corsa si presenti alla partenza, insieme a Remondino (uno dei suoi più intimi amici) con 15' di ritardo. I due, che non sono stati svegliati per tempo nella locanda dove erano ospiti) non perdono tempo e partono immediatamente alla caccia degli avversari, recuperano costantemente terreno, superano tutti e giungono al traguardo primo e secondo. Gerbi è scatenato: si allena con continuità e anche la Piazza d'Armi comincia a stargli stretta. Il 6 settembre è al via della Coppa del Re, la manifestazione su strada più prestigiosa del periodo. Vince per distacco, giungendo al traguardo di Novara da dominatore e ponendosi all'attenzione generale come uno tra i migliori dilettanti del momento. A settembre Giovanni tenta l'avventura anche nel Sud Italia, nella prima edizione della Roma-Napoli-Roma, 450 km lungo strade sconnesse e con il pubblico spesso indisciplinato. Giovanni si reca a Roma in treno grazie all'aiuto di un amico che gli fornisce il denaro sufficiente per un biglietto di terza classe, ma di sola andata. Parte insieme al fido compagno Remondino che però in corsa è presto costretto al ritiro mentre Giovanni perde contatto dai primi poco prima di Cassino e giunge a Napoli con 12' di ritardo. Riduce lo svantaggio con un bell'inseguimento nel finale ma si deve accontentare del quarto posto (a 9'19") alle spalle del tedesco Grammel, Jacorossi e Spadoni, confermando tuttavia le sue grandi qualità. Dopo la corsa alloggia tre giorni a Roma presso un suo ammiratore, ma dopo una vivace discussione con alcuni tifosi locali viene "costretto" a sfidare il loro idolo (un certo Antonelli) in una sfida sulla distanza di 50 km al Velodromo di Porta Salaria, mettendo in palio (essendo rimasto senza soldi) le rispettive biciclette. Giovanni trionfa nettamente ma sorge immediato il problema del ritorno a casa: senza soldi e senza mangiare, Giovanni e Remondino non possono certo sperare di tornare in bicicletta per cui si recano alla stazione Termini e spediscono prima di tutto i loro mezzi di locomozione (compreso quello vinto ad Antonelli). Poi vanno in questura dove probabilmente "commuovono" le forze dell'ordine ed ottengono il foglio di via, con viaggio gratuito fino ad Asti. Ci vogliono trenta ore per arrivare da Roma ad Alessandria ed il viaggio si trasforma in un terribile calvario per i due giovani: senza soldi, riescono a mangiare un pò di pane e due banane grazie alla bontà di alcuni compagni di viaggio e quando giungono stremati a casa, Gerbi viene accolto dalla notizia che deve restituire la bicicletta "vinta" perchè questa non era di proprietà di Antonelli.
Le prime stagioni da professionista (1903-1904)
Il giovane Gerbi ha appena 18 anni quando nel 1903, senza alcuna esitazione diventa "professionista". E lo diventa nel senso più completo del termine: pensa solo alle corse, vive esclusivamente per la vittoria, comincia a studiare attentamente i percorsi di gara, analizza il comportamento degli avversari per individuare i difetti e le debolezze, si esalta nella ricerca della perfezione e dell'impresa. Sotto questo aspetto della "professione" Gerbi è indubbiamente un precursore e quindi nasce e si afferma definitivamente la leggenda del Diavolo Rosso.
Nel 1903 infatti Gerbi si pone definitivamente al centro dell'attenzione generale con una serie stupenda di vittorie. Comincia il 19 aprile nella Milano-Alessandria dove si impone con una volata in progressione di una potenza straordinaria. Il 10 maggio poi è la volta della Milano-Piacenza-Genova dove negli ultimi km riesce ad aver ragione degli avversari e si presenta da solo per primo sulla pista del Bisagno. Seguono le vittorie nella Milano-Torino e nel Circuito di Cremona e Gerbi viene giustamente considerato come uno dei migliori corridori italiani del momento ed è tra i favoriti della Corsa Nazionale (Gran Fondo) che si disputa il 23 luglio su un percorso ancora più lungo dell'anno precedente (600 km). Giovanni parte forte e a metà percorso rimane da solo al comando; impone un'andatura forsennata ma non riesce a gestire le forze per una gara così lunga, entra in crisi, viene superato e si ritira. A fine agosto accusa una nuova delusione: si corre la Ovada-Acqui-Asti-Novi-Ovada e viene superato allo sprint da Carlevaro. Intanto si accende la rivalità con Cuniolo, suo conterraneo, che diventa il vero avversario da battere per il Diavolo Rosso. A settembre si corre la sesta edizione della Corsa del Re e il Diavolo Rosso compie un'altra impresa arrivando da solo al traguardo di Milano. Terminata la stagione su strada Gerbi pensa di esordire nelle gare su pista e viste le sue carenze in volata, non può ovviamente gareggiare nelle prove di velocità e sceglie il mezzofondo, diventando stayer. L'esordio si verifica a fine ottobre sull'anello del trotter di Piazza Doria di Milano in una Sei Ore dietro allenatori meccanici e, nonostante un debutto un pò affrettato, vince alla grande. Nell'inverno gareggia a Parigi anche se raccoglie più sconfitte che vittorie. La Francia lo attira molto e nel 1904 ci ritorna per disputare la Bordeaux-Parigi ottenendo un incoraggiante 10° posto anche se poi la giuria lo squalifica, come molti altri, per aver usufruito di aiuti irregolari. In estate decide di partecipare alla seconda edizione del Tour de France rinunciando in pratica a tutte le corse del calendario italiano. Al Tour in ogni tappa si verificano incidenti, combines, trucchi, misfatti, irregolarità ed inganni tanto che poi i primi quattro della classifica a Parigi verranno squalificati. Per Giovanni il Tour finisce nella seconda tappa, quando sulla vetta del Col de la Republique, il gruppo di cui fa parte viene aggredito dai "tifosi" del beniamino locale Faure che è in fuga. Il nemico da colpire è Maurice Garin ma il gruppo è folto ed è difficile, tra la confusione e l'oscurità, individuare subito il campione francese. Per cui gli spettatori invadono la strada e cominciano il loro vergognoso ed ignobile attacco un pò alla cieca: tra tutti il più malconcio è proprio Gerbi che comunque riesce a rialzarsi, prova a proseguire la corsa ma dopo pochi km deve arrendersi ed è costretto al ritiro per le ferite subite. Torna in Italia avvilito e ferito ma fermamente intenzionato a riscattarsi: è costretto invece al ritiro anche nella Gran Fondo. In questo momento, a 19 anni, Gerbi vive il primo periodo oscuro della sua carriera agonistica, più per sfortuna che per propri demeriti. E' infatti ancora popolarissimo ed apprezzato al punto che la stessa UVI lo designa ufficialmente come nostro rappresentante ai Campionati del Mondo di Mezzofondo professionisti che si svolgono il 4 settembre al Velodomo Crystal Palace di Londra. Durante la gara Gerbi cade è non da segni di vita; trasportato d'urgenza all'ospedale, le sue condizioni appaiono subito molto gravi. Rimane in coma per cinque giorni poi finalmente si riprende e la sua eccezionale tempra gli consente di rimettersi in sesto abbastanza prontamente. La stagione però ormai è finita e per attuare i suoi propositi di vendetta deve aspettare l'anno seguente.
Il 1905, l'anno delle sue grandi affermazioni
Dopo la brutta caduta di Londra (campionato del mondo stayer del 1904) la ripresa di Gerbi è più lenta del previsto e nella prima metà del 1905 gareggia pochissimo e non ottiene risultati apprezzabili. La sua grinta però è intatta come il desiderio di tornare a primeggiare ed è in questo periodo che mette a punto il suo rivoluzionario sistema di allenamento. Percorrendo infatti quasi sempre lo stesso percorso d'allenamento, comincia a cronometrare i suoi tempi, verificando così i suoi miglioramenti. Poi inizia ad andare in salita, realizzando un accenno di quelle che successivamente verranno chiamate "ripetute", scattando più volte ad intervalli regolari. Quindi incrementa il numero dei km percorsi e si prepara accuratamente per la Corsa Nazionale del 23 luglio che vince dominando. Nella seconda metà del 1905 così si riafferma come il nostro miglior corridore continuando a praticare anche l'attività di stayer nella quale primeggia conquistando ai primi di ottobre il Campionato Italiano professionisti a Torino. L'8 ottobre vince la Coppa d'Alessandria con il rivale Cuniolo secondo a 6'50". La Gazzetta dello Sport nel frattempo sta organizzando la prima edizione del Giro di Lombardia e Gerbi si prepara scrupolosamente. Si reca quasi quotidianamente sul percorso a verificare le condizioni della strada e studia i punti più difficili. Inoltre migliora la sua aerodinamicità in sella e per la prima volta prova pure i tubolari invece delle gomme piene ottenendo non pochi vantaggi. Il 12 novembre si svolge la corsa e Gerbi compie il suo capolavoro vincendo con ben 40' di vantaggio sul secondo (Rossignoli) a testimonianza di una superiorità che gli consente di fregiarsi meritatamente e senza discussioni del titolo di "miglior corridore italiano del momento", al termine di una stagione veramente esaltante e che rimarrà tra le migliori di tutta la sua carriera.

E' il 1906: Giovanni Gerbi ha il difficile compito di confermarsi il miglior corridore italiano e il gravoso peso di essere l'uomo da battere dopo la grande annata precedente. La prima gara disputata è la Milano-Lecco-Milano del 25 marzo dove il Diavolo Rosso non riesce a staccare gli avversari e viene beffato in una tiratissima volata da Cuniolo con il quale ormai è in continua ed accesa polemica. Poi l'8 aprile si corre la Milano-Alessandria-Milano ed è una bella vittoria di Giovanni che stacca tutti e vince in solitudine. La stagione continua tra alti e bassi: il 15 aprile è soltanto 6° nella Milano-Domodossola vinta da Albini; il giorno dopo si ritira nella Domodossola-Milano dove si impone nuovamente il brillante Albini su Cuniolo e Rossignoli. Gerbi si riscatta poi il 6 maggio nella Milano-Pontedecimo che vince con una ventina di secondi di vantaggio su un gruppo di scatenati avversari al termine di un eccezionale allungo nel finale. In tutte queste gare però, sia vincitore o sconfitto, Gerbi non sembra più possedere quella netta superiorità mostrata l'anno precedente. I suoi avversari hanno copiato certe sue innovazioni (soprattutto la programmazione) ed inoltre si gareggia su percorsi raramente superiori a 200 km (le lunghe distanze sono il suo punto di forza).

Il 13 maggio si corre la prima edizione del Giro del Piemonte e Gerbi compie una grande impresa vincendo con un margine sul secondo superiore a 40' dopo una fuga superiore ai 100 km. Dopo questa impresa il Diavolo Rosso si concede un pò di riposo, disertando alcune competizioni importanti come la Milano-Mantova e la Milano-Piano dei Giovi-Milano e si ripresenta alla prestigiosa Corsa Nazionale del 24 giugno ancora ovviamente con i favori del pronostico. Gerbi è tra i protagonisti ma nello sprint finale, tradito dalla sua irruenza, urta con Pavesi e cade. Si rialza e chiude quinto e ultimo del gruppetto dei battistrada. Smaltita la rabbia per la bruciante sconfitta, decide di tentare nuovamente l'avventura al Tour. Tuttavia neanche questa volta la fortuna gli sorride sulle strade francesi: nella prima tappa si piazza 12° mente nella seconda frazione viene letteralmente bersagliato dalla malasorte (fora tre volte nel giro di pochi km), perde moltissimo terreno e, ritenendo di non avere più possibilità di ben figurare, decide clamorosamente di ritirarsi. La prima competizione alla quale si schiera dopo il suo disastroso Tour è la Brescia-Milano-Pallanza del 26 agosto. Ottiene una bella vittoria riuscendo a vincere le ultime resistenze del bravo Danesi. Sulla pista di Pallanza si presenta da solo ottenendo una meritata vittoria anche se il suo vantaggio è risicato. Il 2 settembre si corre il Campionato Piemontese e Gerbi coglie un altro trionfo, sconfiggendo l'eterno rivale Cuniolo dopo 10 ore di battaglia furiosa ma inutile perchè poi il Diavolo Rosso e Manina vengono entrambi squalificati a vantaggio di Ceretti (terzo all'arrivo) per irregolarità varie compiute durante la corsa. Il calendario è sempre più fitto di appuntamenti e il 9 settembre Gerbi si presenta al via nella Milano-Bologna-Roma, in due tappe organizzata dalla Gazzetta.
L'11 settembre si svolge la seconda ed ultima tappa della Milano-Bologna-Roma organizzata dalla Gazzetta. Si va da Bologna a Roma (468 km) con un percorso molto impegnativo che prevede la scalata della Porretta e le pessime condizioni atmosferiche rendono ancora più massacrante la fatica degli atleti. La partenza viene data alle 18 e quindi i concorrenti si trovano ad affrontare la prima salita quando è già notte. Gerbi forza subito l'andatura, seguito da Cuniolo, Ganna, Galetti e Fortuna. All'inizio della Porretta, sotto un vero e proprio nubifragio, con il vento che scuote violentemente gli alberi ai bordi della strada, il Diavolo Rosso si scatena, vince la resistenza di tutti gli avversari (Cuniolo è l'ultimo a cedere), transita per primo in vetta e si tuffa nella buia ed insidiosa discesa. Alle sue spalle molti si sono già ritirati, altri hanno trovato rifugio in un casolare, Cuniolo fora e perde terreno, Ganna esce fuori strada e precipita in un burrone dal quale riemerge grazie al provvidenziale aiuto dell'amico Galetti. Solo Gerbi sembra a suo agio e giunge così a Firenze con una ventina di minuti di margine su Cuniolo ma al posto di controllo non trova nessuno; la giuria infatti, impaurita dalla pioggia e dal freddo, preferisce rimanere rintanata in un confortevole caffè. Gerbi è solo (la macchina con i rifornimenti è rimasta attardata per un guasto) e, inzuppato d'acqua, decide di continuare la marcia, ma invece di dirigersi verso Arezzo sbaglia percorso e prende la strada per Siena. Inconsapevole dell'errore continua a spingere a tutta ma dopo una sessantina di km comincia ad avere qualche dubbio. Sperduto in una campagna scorge l'insegna di un'osteria (ovviamente chiusa) e comincia ad urlare, riuscendo finalmente a farsi aprire la porta. Il proprietario dell'osteria fornisce pietosamente qualcosa da mangiare a Gerbi il quale però alla fine del vorace pasto dichiara candidamente di non avere soldi per pagare. Scoppia una violenta lite e Gerbi è costretto a scappare dalla finestra, non solo per evitare le botte dell'inferocito oste ma anche per sfuggire addirittura all'arresto. Tornato in sella e resosi conto dell'errore, il Diavolo Rosso è costretto al ritiro mentre Galetti, avvantaggiatosi negli ultimi km, arriva trionfalmente al traguardo di Roma.
Il 16 settembre si corre la prima storica edizione del Campionato Italiano professionisti su strada a Roma e il Diavolo Rosso si ritira infuriato quando, complici una caduta ed un incidente meccanico, si rende conto di non poter più contrastare il rivale Cuniolo che infatti conquista la maglia tricolore. Cerca quindi riscatto nella Roma-Napoli-Roma del 20 settembre; va in fuga, rimane da solo al comando ma entra in crisi ed è costretto al ritiro. Per Gerbi è un forte ridimensionamento; è talmente stanco e deluso, dopo una stagione molto intensa e sfibrante, che decide addirittura di disertare il Giro di Lombardia.

Nel 1908 ancora il migliore dopo la squalifica
La stagione comincia senza lo squalificato Gerbi, che nel frattempo continua ad allenarsi come se dovesse tornare alle competizioni da un momento all'altro. Grazie ad un non trascurabile movimento d'opinione pubblica a suo favore, l'UVI decide di riaprire il suo caso nel congresso di Firenze tenutosi a marzo. Dopo un acceso dibattito la squalifica viene ridotta definitivamente a sei mesi: il Diavolo Rosso potrà tornare alle corse il 17 giugno 1908. Proprio il giorno dopo il termine della squalifica si corre l'ottava edizione della Corsa Nazionale e Gerbi ha una gran voglia di dimostrare nuovamente a tutti la sua superiorità: anche se con un pò di fortuna Gerbi stacca tutti e vince. La sua voglia di rivalsa è talmente forte che inizia a gareggiare di continuo, quasi ogni giorno, soprattutto su pista dove dimostra ripetutamente la sua classe. In una riunione al Velodromo Umberto di Torino accetta addirittura di essere accoppiato all'acerrimo rivale Cuniolo insieme al quale sconfigge Ganna e Danesi: questa vittoria dei piemontesi contro i lombardi è il miglior prologo al Giro del Piemonte del 28 giugno. La vittoria in quest'ultima gara convince Gerbi, che si sente in grande forma, a ritentare l'avventura del Tour. Fin dalle prime tappe è costantemente in ritardo e capisce di non poter lottare neppure stavolta per le prime posizioni in una corsa che non sembra adattarsi alle sue caratteristiche. Nella frazione di Nizza finalmente Gerbi esce dall'anonimato e si riscatta: lotta accanitamente, si mantiene nelle prime posizioni, conduce il gruppo anche in salita e ad una ventina di km dalla conclusione si trova nel gruppo di testa.
Improvvisamente un'automobile sorpassa i fuggitivi, alzando un'impressionante polverone e Gerbi, con la consueta astuzia, ne approfitta subito. Allunga nella scia dell'automobile, protetto dal polverone guadagna qualche centinaio di metri e quando i francesi si accorgono della sua fuga è troppo tardi. Il Diavolo Rosso sembra avere la vittoria in pugno ma alla periferia di Nizza si presentano in mezzo di strada le rotaie del tram; Gerbi ha una piccola esitazione e la ruota posteriore della bicicletta va ad incastrarsi in una rotaia, spezzandosi. Gerbi cade e si dispera, tra mille bestemmie prende in spalla la bicicletta e comincia a correre verso il vicino arrivo, sperando di conservare un pur minino vantaggio. Il suo margine è però risicato e gli inseguitori lo superano relegandolo al settimo posto: Gerbi taglia il traguardo a piedi, ansimante, sanguinante, con la maglia strappata, con la bici in spalla e la sua delusione è immensa. Il Diavolo Rosso però non si arrende e già nella tappa successiva, con arrivo a Nimes, torna all'attacco. E' sempre con i primi e nel finale si trova in testa con Petit-Breton che però si impone agevolmente in volata relegandolo ad un 2° posto che rappresenta per lui un'ulteriore beffa. Nelle frazioni successive Gerbi non riesce più ad emergere e nella classifica finale (a punti) termina 20°, con 246 punti, a ben 210 punti dal vincitore Petit-Breton.

Tornato in Italia dopo la non felicissima avventura al Tour, Gerbi si rituffa con la solita determinazione nelle corse di casa dove rimane sempre tra i migliori protagonisti. Il 16 agosto disputa la Coppa Savona dove si deve accontentare di un terzo posto dopo essere stato anche in testa da solo. Si prende però una bella rivincita nel Campionato Piemontese a fine mese costringendo alla resa tutti gli avversari meno il sorprendente Mario Pesce che batte in volata. Gerbi si concede adesso un pò di riposo per cominciare poi a preparare la Roma-Napoli-Roma che stavolta si disputa in due tappe. Per Gerbi è un trionfo: vince entrambe le tappe, Roma-Napoli e Napoli-Roma, e la classifica finale. A fine stagione prende il via al Giro di Lombardia e, nonostante accusi la fatica e lo stress di una stagione breve ma intensa, alla fine ottiene un discreto 3° posto dietro Faber e Ganna. Si chiude così il 1908 con 5 vittorie in poco più di tre mesi, la delusione al Tour e qualche segno di cedimento per un atleta da 6 stagioni al vertice del ciclismo italiano ma comunque ancora in grado di riservare grandi soddisfazioni ai suoi numerosi ed appassionati tifosi.

Il 1907 di Giovanni Gerbi: dopo i trionfi un terribile inganno

L'avvio di stagione è in sordina e Gerbi viene sconfitto allo sprint da Ganna sia nella Milano-Torino del 24 marzo (2°) che nella Torino-Milano (3°) del giorno successivo. Intanto la Gazzetta dello Sport lancia una nuova manifestazione, prevista per il 14 aprile: la Milano-Sanremo, il cui percorso presenta la durissima ascesa del Turchino e quindi appare in grado di permettere una selezione netta e decisa. Dopo una grande attesa, ricca di pronostici e previsioni, al via si presentano soltanto 33 corridori tra i quali tutti gli italiani più forti del momento ed alcuni grandissimi assi francesi capitanati da Trousselier, Garrigou e Petit-Breton. Quest'ultimo è stato appositamente in gaggiato dalla Bianchi che allinea nelle sue file anche Gerbi e Rossignoli.
Il Diavolo Rosso ha preparato la gara con la consueta meticolosità ed attacca sotto la pioggia battente. Viene ripreso dal francese Garrigou e decide di non collaborare perchè dietro sta rimontando il "compagno" Petit-Breton; quest'ultimo ad una trentina di km dalla conclusione si riporta sui fuggitivi. Nel finale Garrigou tenta di sorprendere senza successo il duo della Bianchi ma all'ultimo km sono ancora insieme e si preparano alla volata finale. Gerbi sa di essere battuto allo sprint e si schiera ovviamente in aiuto di Petit-Breton, tanto da afferrare Garrigou per la maglia e per il collo a circa 700 metri dall'arrivo, bloccandolo proprio mentre Petit-Breton lancia la sua progressione che lo porta a tagliare per primo il traguardo davanti allo stesso Gerbi. Per la scorrettezza il Diavolo Rosso viene però retrocesso al terzo posto anche se è riuscito ad ottenere il suo scopo: divide infatti il premio destinato al vincitore con Petit-Breton. Tutto però è presto dimenticato e quando il 12 maggio si svolge il Giro delle Antiche Provincie il Diavolo Rosso è ancora tra i personaggi più attesi anzi è il principale favorito anche perché tra l'altro il percorso (336 km) si snoda proprio lungo le "sue" strade. Il netto successo, anche se parzialmente legato alla fortuna, rilancia Gerbi al vertice del ciclismo italiano. Il 2 giugno si corre la Firenze-Roma e Gerbi subisce una cocente sconfitta venendo battuto allo sprint da Galetti. La delusione trova riscatto immediato nella Corsa Nazionale del 23 giugno dove Gerbi ottiene una brillante vittoria.
Successivamente diserta il Tour e si ripresenta alle corse impegnative il 15 agosto con la Coppa Savona. Su un percorso lungo ed impegnativo Gerbi riesce ad imporsi grazie alla sua classe superiore e quindi il 15 settembre è il principale favorito della Milano-Bologna-Firenze con la quale il Diavolo Rosso allunga la sua fantastica sequenza di successi. Adesso Gerbi si concentra sull'ultima grande corsa dell'anno, il Giro di Lombardia, e passa tutto il mese di ottobre ad ispezionare accuratamente il percorso del "Lombardia" (210 km da Milano a Sesto San Giovanni) percorrendolo almeno una ventina di volte, valutando le situazioni più pericolose e studiando i tratti più favorevoli; addirittura trova perfino un accordo con il casellante del passaggio a livello di Busto Arsizio il quale gli assicura di favorirlo, tenendo aperti per lui i cancelli e chiudendoli per gli altri.
Per Gerbi il problema è arrivare al passaggio a livello per primo, in vantaggio su tutti gli avversari. In corsa riesce nella sua impresa e si presenta da solo in testa al passaggio a livello dove i suoi tifosi sono presenti in gran numero. L'entusiasmo è enorme, il Diavolo Rosso attraversa i binari nel tripudio generale e, non appena passato, i cancelli si chiudono. Sopraggiungono velocissimi i primi inseguitori, Rheinwald, Georget e Chiodi; una bicicletta vola in mezzo di strada e fa cadere Rheinwald e Georget. La folla invade la strada, il caos è incredibile: i corridori rimangono bloccati, giungono pure gli altri inseguitori, la confusione è enorme. Solo quando arrivano le auto al seguito si riesce a riportare un pò di ordine; i cancelli si riaprono e la corsa può continuare ma Gerbi è ormai lontano. Il Diavolo Rosso spinge a tutta ed in suo aiuto spuntano pure alcuni "allenatori" nella cui scia ovviamente la fatica è minore.
Inoltre quando il francese Garrigou sta avvicinandosi spuntano alcuni chiodi lanciati sulla strada da tifosi di Gerbi e Garrigou fora, perdendo molti minuti. Al traguardo Gerbi, dopo una cavalcata solitaria di 180 km, precede Garrigou di 38'28". Subito dopo l'arrivo scoppiano feroci polemiche fomentate dai francesi contro il Diavolo Rosso; spuntano testimoni (tra cui il corridore Mori), si parla dell'episodio del passaggio a livello, ma anche degli "allenatori" e pure dei chiodi. Si scopre che qualcuno sapeva tutto prima della corsa e che sarebbe Gerbi l'organizzatore di tutto. La giuria apre un inchiesta volta a stabilire la verità: le riunioni e gli interrogatori si susseguono tutta la notte mentre Gerbi è stato portano in trionfo dai suoi tifosi. La mattina successiva (4 novembre) il comunicato dei giudici non lascia scampo al Diavolo Rosso che viene retrocesso all'ultimo posto dell'ordine d'arrivo per le irregolarità commesse in corsa ed in particolare "per aver usufruito di uno speciale servizio di allenatori e suiveurs che gli hanno agevolato la corsa in diversi tratti e che è stato da lui stesso organizzato con i corridori Masi, Jacobini e Cavedini". La vittoria passa quindi a Garrigou (secondo al traguardo) e pure Petit-Breton (terzo) viene squalificato per non aver firmato il foglio di controllo a Como.
Lo scandalo è enorme, i tifosi di Gerbi sono in rivolta, si susseguono le ingiurie e le invettive contro la Giuria e la "Gazzetta", in Piemonte si verificano ripetute manifestazioni a favore del Diavolo Rosso, che si dichiara all'oscuro di tutto e di non poter essere responsabile degli atti compiuti dai propri tifosi. L'inchiesta dell'UVI va intanto avanti e dopo più di un mese, il 18 dicembre, il verdetto è clamoroso e pesante: squalificato Gerbi per 2 anni, Mori per uno, Jacobini e Cavedini per sei mesi! Lo sgomento e la rabbia sono immensi: Gerbi non è rimasto vittima di un complotto (come per un pò di tempo egli stesso continuerà a sostenere), ha sbagliato ma la squalifica per due anni sembra eccessiva. Nelle prossime due stagioni non sarà più possibile vedere in mezzo al gruppo il suo sgargiante ed inconfondibile maglione rosso.

Nel precoce declino il fortunato tris a Roma nel 1909 di Giovanni Gerbi

Scontata la squalifica, Gerbi ha così tanta voglia di confermarsi il migliore che si prepara come non mai per la Milano-Sanremo. Allenamenti lunghissimi e massacranti che però lo portano a forzare troppo, a bruciare inutilmente troppe energie. Il 4 aprile nella Milano-Sanremo paga le conseguenze di questa sua preparazione sin troppo intensa. Scatta subito dopo il via, alla sua maniera impone come sempre il suo ritmo forsennato, ma alle pendici del Turchino non è ancora riuscito ad operare la selezione vincente come in altre occasioni. Al suo fianco infatti si trovano tutti i migliori e sul Turchino, quando Ganna allunga a ripetizione, Gerbi si trova in difficoltà e perde posizioni, complice anche una caduta. Ganna transita per primo sulla vetta (Gerbi è ottavo) e viene raggiunto da un gruppetto nel quale non figura comunque Gerbi. Ganna riesce a vincere ugualmente la corsa mentre Gerbi è solo 5° a 21".
Il Diavolo Rosso cerca l'immediato riscatto il 18 aprile nella Tre Coppe Parabiago dove però viene nuovamente battuto: giunge 3° battuto in volata da Cuniolo e Galetti. E' terzo pure il 2 maggio nel Circuito Bresciano a 12" dal solito Cuniolo. E' un brutto momento per Gerbi: a parte la preparazione invernale probabilmente sbagliata, sembra di assistere ad un improvviso declino. E' vero che si sono disputate solo tre corse importanti e Gerbi ha comunque colto ottimi piazzamenti ma chi lo conosce bene si sta accorgendo che in lui qualcosa non funziona più come nei giorni migliori. Può essere un momento passeggero ma è evidente che i suoi scatti ed i suoi allunghi non producono più gli effetti devastanti degli anni precedenti. L'occasione del riscatto sembra prossima: il 13 maggio infatti comincia la prima storica edizione del Giro d'Italia.

La corsa riserva subito sorprese clamorose: poco dopo la partenza della prima frazione (Milano-Bologna, 397 km) si verifica una caduta nella quale rimane coinvolto pure Gerbi. Il Diavolo Rosso rimane a terra qualche minuto, poi si rialza intontito ed infuriato: la sua bicicletta è distrutta e, da regolamento, non può sostituirla. E' costretto a tornare a piedi fino alla sede della Bianchi a Milano per sistemare i danni. Perde quasi tre ore e, anche se la classifica è a punti e non a tempi, il suo Giro è già compromesso. A Bologna chiude soltano in 92° posizione. Il Giro prosegue senza che il Diavolo Rosso riesca ad emergere (9° a Chieti, 5° a Napoli, 10° a Roma, 21° a Firenze) e, dolorante ad un ginocchio, si ritira mestamente nella frazione che porta i corridori a Genova. Per la prima volta dall'inizio della carriera Gerbi conosce veramente la sconfitta e dopo la batosta al Giro stenta a riprendersi. Corre poco e diserta il Tour, quindi tenta di battere il record dell'ora ma i suoi assalti non hanno esito e confermano la sua crisi: nè il 4 luglio a Milano nè il 18 luglio sulla pista di cemento delle Cascine a Firenze si dimostra infatti in grado di ottenere una performance che possa soltanto avvicinarsi non tanto al record assoluto (41,520 km del francese Berthet) quanto al primato italiano di Ganna (40,405 km). Riesce comunque a tornare alla vittoria nella Coppa San Giorgio ad Alessandria e si piazza terzo nella Coppa Savona preceduto in volata da Cuniolo e Galetti.
Quindi torna alla Roma-Napoli-Roma (nuovamente articolata in due tappe) stavolta senza i favori del pronostico ma ben deciso a difendere il suo prestigio sulle strade che già lo hanno visto emergere più volte. Gerbi coglie il terzo successo consecutivo con una fortunosa gara e si aggiudica pure l'apposita Coppa XX Settembre. Ma la fatica e lo sforzo compiuti in questa tremenda competizione hanno notevolmente incrinato il suo fisico tanto che dopo la corsa il Diavolo Rosso addirittura non riesce più a camminare ed è costretto a rimanere sdraiato a letto per 24 ore di fila! La vittoria comunque è sua, nonostante le inevitabili polemiche sullo svolgimento poco sportivo del finale di corsa. Nel finale di stagione Gerbi non disputa nessuna gara, nè il Campionato Italiano e neppure il Giro di Lombardia.

Gli aneddoti

Di lui viene scritto sulla Storia aneddotica dello sport italiano: "scavezzacollo in gioventù, impiegato in una sartoria, dopo 2 giorni tirava il ferro da stiro in capo al principale. Più tardi, appreso ad andare in bicicletta, investiva una vecchietta con conseguenze tragiche.

In una sfida con Cuniolo sulla distanza di 100 chilometri (si trattava del campionato italiano), trovatosi Gerbi solo con Cuniolo a poca distanza dal traguardo, e resosi conto di non potere in alcun modo battere il suo avversario, in uno scatto d'ira scese di macchina e scagliò la bicicletta a terra, tempestandola di calci..."

Dopo aver trionfalmente vinto il primo Giro di Lombardia nel 1905, si impose anche nel 1907, ma con uno dei suoi inganni. Andò in fuga e non si fermò ad un passaggio a livello che sapeva essere sempre chiuso a quell'ora. I suoi inseguitori furono bloccati da alcuni amici di Gerbi a quel passaggio a livello, e forse vennero anche malmenati. Non contento, per vincere si fece anche aiutare da alcuni corridori ritirati che lo avevano raggiunto prendendo una scorciatoia. Il trucco fu scoperto e Gerbi fu squalificato per 6 mesi.

Eroico fu anche un suo attacco in una Gran Fondo: ma in una gara di oltre 500 chilometri partì troppo presto e fu raccolto dai tifosi, entusiasti di quel gesto tanto scriteriato quanto eroico, sfinito e accasciato a terra. Ad una Corsa Nazionale del 1905, poi, si trovava al comando quando cadde. Si fermò in una farmacia per farsi medicare, ma quando venne a sapere che nel frattempo era stato superato da un altro corridore, riprese la bicicletta e, benchè fosse stato invitato a desistere, si mise a inseguirlo furiosamente ancora sanguinante. Riuscì a riprenderlo e superarlo tra la folla incredula alla scena di quel corridore tutto fasciato e sporco di sangue.

Vincerà quasi solo gare in linea, spesso anche grazie a colpi d'astuzia; delle gare a tappe invece non digeriva le montagne. Vinse 32 corse, fra cui Giro di Lombardia, Milano-Torino, 3 Giri del Piemonte, 3 Roma-Napoli-Roma.

isypan
00giovedì 21 ottobre 2010 09:17
isypan
00giovedì 21 ottobre 2010 09:18
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