Ottimo riassunto, me l'ha inviato la mia prof di hindi :)
www.inviatospeciale.com/2008/10/il-pasticcio-sulluniversita/#m...
Posted By Lancini On 14 Ottobre 2008 @ 08:00
Il pasticcio dell'Università
Non siamo di fronte a un sistema immune da difetti, ma con il DL 112 del governo, università e ricerca sono messe in serie difficoltà. Il quadro sulla questione di un ricercatore per “Tu inviato”
Dopo tanti tentativi, più o meno abortiti, più o meno riusciti, di riformare la scuola e l’università, il governo Berlusconi ha dato il suo contributo decisivo per stravolgere il sistema scolastico e universitario italiano. Durante il mese di giugno, quasi di soppiatto, il governo ha emanato un decreto legge – l’ormai famigerato 112 – che con il titolo abbastanza anonimo «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria» interviene pesantemente sul sistema dell’istruzione pubblica.
Prima di tutto va segnalata l’anomalia rappresentata da un decreto-legge che, con la pretesa della «necessità e urgenza» (requisito necessario per emanare un decreto-legge governativo), si occupa di tutti gli aspetti dell’universo mondo. Dove stanno la necessità e l’urgenza, visto che il decreto si occupa di libri di testo scolastici e di università fondazione, di banda larga e di imprese, di energia e di sterilizzazione dell’IVA sugli aumenti petroliferi? Un minestrone scoordinato che fa pensare che si tratti di un preciso atto di scavalcamento del parlamento e della normale dinamica dibattimentale. Troppo complicato e dispendioso in termini di tempo fare una serie di disegni di riforma articolati, prodotta dal confronto anche con l’opposizione? L’arma del decreto-legge risolve il problema, zittisce tutti e può essere convertita in legge con legge ordinaria entro sessanta giorni.
Ecco in dettaglio le misure previste dal DL 112 (ora convertito in legge 133/08 alla fine dell’agosto scorso). Per la scuola e l’università i tagli sono faraonici: dieci miliardi di euro dal 2009 al 2013, dei quali il taglio netto al FFO (fondo di finanziamento ordinario dell’università pubblica) rappresenta 1.441,5 milioni di euro. Si tratta di cifre impressionanti che, nel caso dell’università, sono tali da impedire, già a partire dall’anno prossimo, l’impossibilità di svolgere i propri compiti istituzionali. L’Università degli Studi di Milano, tanto per fare l’esempio di un ateneo di grandi dimensioni, già a partire dal prossimo anno non potrà chiudere il bilancio in pareggio, presentando un deficit stimato dagli 8 ai 10 milioni di euro, deficit che andrà a crescere fino a 25 milioni di euro nel 2013. Le normali economie di gestione non potranno permettere di affrontare questa situazione, richiedendo il taglio – fino all’azzeramento – delle spese non obbligatorie (fondi per la ricerca, fondi per il potenziamento della didattica, fondi per i contratti di insegnamento, fondi per finanziare le borse di dottorato) e incidendo inevitabilmente anche sulle spese obbligatorie, cioè manutenzione e stipendi del personale.
A fronte di questi tagli che non permetteranno il funzionamento della macchina universitaria già dal prossimo anno, si affianca la norma contenuta nell’art. 66: negli anni a venire le amministrazioni universitarie potranno sostituire con contratti a tempo indeterminato solo il 20% del personale cessato dal servizio e andato in pensione, senza distinzione di ruolo o di spesa, ma basandosi sull’unità di personale; il che significa che se andranno in pensione cinque professori ordinari al massimo della carriera, potrà essere assunto solo un bidello, oppure solo un ricercatore, oppure solo un bibliotecario. I risparmi di spesa ottenibili con un procedere di questo tipo sono evidenti, ma sono evidenti anche gli svantaggi: chiudere qualsiasi possibilità di accesso per gli anni a venire alle forze giovani che si vogliono dedicare alla ricerca, eliminando di fatto le borse di dottorato (troppo costose e le prime a cadere sotto la mannaia dei tagli) e azzerando la possibilità di nuovi concorsi per sostituire con forze fresche i docenti giunti al termine della carriera.
Un’università invecchiata e senza ricambio, priva di risorse economiche, dove non vi è più un centesimo per fare ricerca. Questo è il panorama che i tagli governativi presentano. Ma il DL 112/legge 133 va oltre, suggerendo anche, in maniera ambigua, un modo per recuperare in altro modo i soldi che non verranno più concessi dalle casse dello Stato al sistema universitario pubblico: la trasformazione delle università pubbliche in università-fondazione. Va forse ricordato a questo punto che siamo in Italia, Europa, e non negli Stati Uniti. Da noi esistono forse due o tre realtà industriali in grado di svolgere quel ruolo di volano per l’istruzione e la ricerca che negli Stati Uniti viene svolto da decine di grandi trust industriali. Da noi predomina la piccola e media impresa, agguerrita, molto dinamica e leggera, ma certo non in grado – forse, neppure interessata – di fornire risorse significative a un sistema universitario che voglia essere competitivo. Le università-fondazione dovrebbero diventare enti di diritto privato con la partecipazione e la vigilanza del ministero dell’università e di quello dell’economia. Il personale amministrativo dovrebbe rinegoziare il suo contratto o mantenere quello esistente, caso per caso – dipenderà molto dalla forza contrattuale interna delle organizzazioni sindacali – mentre per il personale docente e ricercatore non dovrebbe cambiare nulla – almeno in teoria – restando nel vago lo status del personale docente che dovrà essere assunto in futuro, quando e se vi saranno concorsi.
Quindi ci troveremmo di fronte a un ente di diritto privato finanziato e vigilato dallo Stato, dove però non valgono le regole della pubblica amministrazione: un pasticcio. Soprattutto, un pasticcio sulla base della normativa comunitaria, per la quale qualsiasi ente che viene vigilato dallo Stato, o nel quale vi è una partecipazione economica significativa dello Stato, è ipso facto un ente pubblico di diritto europeo. Mentre lo stato italiano privatizza, sulla base di un indimostrato teorema ideologico secondo qui il privato è meglio del pubblico, l’Unione europea pubblicizza, imponendo i criteri per definire ciò che è pubblico e ciò che è privato. Ma questo, al governo attuale, non sembra interessare molto.
Sempre l’Unione Europea richiede, con la tanto celebrata ‘strategia di Lisbona’, che però in questo caso nessuno ricorda, che la spesa per l’istruzione e la ricerca debba rappresentare almeno il 3% del PIL nazionale. L’Italia spende per l’università solo lo 0,7% del PIL, poco se rapportato al 1,1 di Francia, Gran Bretagna e Germania e quasi nulla se raffrontato con il 2,5% degli Stati Uniti. Con questi tagli si allarga il divario con quei paesi industrializzati che hanno ormai compreso e imparato che un sistema di istruzione e universitario, per essere competitivo, ben organizzato ed efficiente, deve basarsi sul sostegno pubblico. Pare banale doverlo ripetere oggi, nel 2008, ma pensare di applicare al sistema formativo le logiche del mercato e del profitto dimostra solo una cosa: che si è profondamente ignoranti di ciò che significano la parola cultura e la parola ricerca.
Piero Graglia
Ricercatore confermato
Storia dell’integrazione europea
Facoltà di Scienze Politiche
Università degli Studi di Milano