Piero Umiliani - 5 Bambole per la Luna d' Agosto

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00giovedì 10 dicembre 2009 23:54
Piero Umiliani
5 Bambole per la Luna d' Agosto


di Simone Coacci

Musicista straordinario e compositore sopraffino scomparso nel 2001 che se mai ha avuto un torto in carriera è stato quello di concedere la sua preziosa manodopera, senza distinguo di qualità o di lignaggio, a tutti i generi e i sottogeneri, financo i più infimi, proliferanti nell’allora caleidoscopica industria cinematografica tricolore. Con una produttività ed una committenza ritenuta forse più degna di un artigiano che d’un vero artista. Ammesso e non concesso che le due categorie debbano essere sempre in contraddizione fra loro.

Una vicenda lunga quasi un quarto di secolo, quella che lega Piero Umiliani, già pianista, compositore e titolare di un ottetto jazz, alla musica per film, cominciata nel migliore dei modi con I Soliti Ignoti (1958), prima colonna sonora in Italia ad utilizzare materiale jazz originale (avvalendosi anche della partecipazione di un certo Chet Baker), i cui pezzi più famosi (come la celeberrima Blues For Gassman) diventeranno nel tempo dei veri e propri italo-standard, e poi proseguita ad libitum contaminandosi fra i mille rivoli e filoni della nostra “ars arrangiandi” filmica.
Tanto per darvi un’idea: da opere di culto come Orgasmo di Lenzi e Svezia, Inferno e Paradiso (forse il suo capolavoro assoluto, con quella Mah Nà, Mah Nà che, anche grazie alla sua continua riproposizione in alcuni sketch dell’americano “Muppet Show”, diventerà uno dei tormentoni vocali più famosi di tutti i tempi) a “Ric e Gian nel Far West” e “La Dottoressa Alle Grandi Manovre”, dall’erotismo garbato e intellettuale di Boccaccio ’70 (con episodi diretti da Fellini, Visconti e De Sica: mica un “Manuale d’Amore” qualunque) a quello spinto (parente stretto dell’hard) di “Eva Nera” e “Erotico 2000” (l’ultima da lui firmata, nel 1982).

Una discografia mediamente presa sotto gamba, o ritenuta minore rispetta a quella dell’ Umiliani jazzista o grande direttore d’orchestra, che ha dovuto attendere gli anni 90 e l’esplosione della moda del lounge per essere ripresa in considerazione con un minimo di serietà. Leggerezza, licenziosità e “fischiettabilità” pop, fluttuante fra le pieghe di una complessità e di una libertà compositiva non comune (free-jazz, fanta-futurismo, avant pop, psichedelia), sono sempre state le caratteristiche dell’opera di Umiliani. Che ne suggerisce implicitamente una chiave di lettura: tanto più bassi o sottovalutati erano i contesti e le immagini che fungevano da pretesto alla propria ispirazione, tanto più ampia e stimolante era la possibilità di sperimentare senza che nessuno avesse alcunché da obiettare. Tanto quei film, per la critica, erano sempre e solo spazzatura. Ma, Andy Warhol ce lo ha insegnato, forse è solo rovistando tra i rifiuti che possiamo trovare le uniche opere d’arte degne di rappresentare il nostro tempo. E, recentemente, il suo consiglio è stato seguito anche da registi mainstream di fama internazionale come Steven Soderbergh e Quentin Tarantino che hanno ripreso temi delle sue composizioni per “Ocean’s Twelve” e “Kill Bill” rispettivamente.

Tornando a bomba sull’uscita odierna, 5 Bambole Per La Luna d’Agosto è la riedizione (completa di tutte le varianti reperibili per ogni singola canzone, più 6 bonus tracks, 3 in stereo e 3 in mono, di cui un’inedito assoluto, per un totale di 70 e rotti minuti di musica) della colonna sonora originale che Umiliani scrisse nel 1970 per l’omonimo film di Mario Bava. Non uno dei film migliori del Maestro ma una scombiccherata opera pop che usa in chiave italo-thriller il canovaccio di “Dieci Piccoli Indiano” per costruire una sorta di beffarda e neo-surrealistica parabola sulla corruzione e l’avidità umana. Noia, sesso, opulenza, spreco. Quasi un auto-parodia del successivo (e decisamente più riuscito) “Reazione A Catena”, fra decor stravaganti, impennate camp e bonazze del tempo (nel cast femminile spiccano, e non certo per l'impeccabile dizione, Edwige Fenech e la nobile, ma generosa, Ira Furstemberg) in abiti rigorosamente succinti (sia da vive che da morte). E la consueta, paradossale eleganza formale, l’attenzione per i dettagli (e in special modo nei confronti degli oggetti, ben più espressivi degli attori per un grande autore pop come il buon Mario) che permette a Bava di fare un film più che godibile di una sceneggiatura piena di luoghi comuni e incongruenze che in mano ad altri sarebbe finita direttamente in serie Z.

Molto più positivo è, invece, il giudizio per quel che concerne la partitura di Umiliani, rinvigorita nella sua visionarietà dal confronto col passato recente (il ripescaggio in tutte le salse del modernariato sonico anni 60/70), che assorbe gli umori più kitsch, semi-parodistici e psichedelici della messinscena e li trasforma in una scintillante teoria di trovate musicali d’altissimo profilo, qualcosa come, perdonatemi l’ammucchiata di parole, un avant lounge jazz pop futurista.
Detto così può sembrare complicato, ma non lo è. Basta ascoltare il tema principale 5 Bambole, posto in apertura: ouverture di fiati, ritmica formicolante e spezzata stile jazz latino, piano elettrico e organo che duettano in secondo piano, lasciando la ribalta alla partitura vocale eseguita da I Cantori Moderni del grande Alessandroni, con il basso maschile a fare da guida e i maliziosi cori femminili in risposta. Il tormentone, deliziosamente surreale (“One-Two, One-Two-Three-Four-Five Dolls”), si concede, su tempi e tonalità diversi, anche un rapido scorcio autocitante del famoso Mah nà, Mah nà.

Su queste basi Umiliani architetta una serie di fantasiose e ricercate variazioni come il lounge onirico ed avvolgente di Luna D’Agosto col clavicembalo che eredita il tema portante e si alterna all’ineffabile fischio di Alessandroni (lo stesso di Trinità e della morriconiana “Trilogia del Dollaro”); il tribalismo ipercinetico di Danza Primitiva: tamburi, sedicesimi che sembrano suonati con oggetti di fortuna, arabeschi di tastiere e finiture di sitar; sitar che assurge ad assoluto protagonista in Danza Citar Free coronato dalle solite indiavolate percussioni casalinghe e quindi doppiato dai fiati e dall’organo che trasformano la trama indorientale in un numero circense e futurista, invenzione poi ripresa a tempo di valzer a manovella anche in Fantoccio Grottesco.
Quasi a sottolineare l’andamento compulsivo e meccanicistico del film, dove i personaggi sembrano cavie da laboratorio di cui il regista si prende continuamente gioco come un deus ex machina beffardo e vendicativo. E se Notte di Luna e Luna d’Agosto 1971 allentano per un attimo la tensione con un jazz groove languido e notturno da passeggiata romantica in Via Veneto, Bambola Omicida ci riporta di peso nella dimensione thriller dell’opera con un fraseggio prog sordo e minaccioso, doppiata dal minimalismo tagliente e glaciale di Interludio Giallo.

Un disco che vale la pena ascoltare fino alla fine, magari piluccando a piacimento nella quindicina di alternate takes, perché al 34esimo e ultimo posto cela una vera chicca: Ti Risveglierai Con Me, una canzone vera e propria, originariamente utilizzata per i titoli di coda e stralciata dall’edizione discografica, composta da Umiliani e Simonelli ed eseguita in chiave folk-prog-beat da uno dei più originali e sfortunati gruppi italiani del periodo: Il Balletto di Bronzo.

LINK:
Sito Ufficiale: www.umiliani.com


www.storiadellamusica.it/Piero_Umiliani_-_5_Bambole_per_la_Luna_d___Agosto_(Cinevox,_1970)....





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