La prima imperatrice

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vanni-merlin
00sabato 25 marzo 2006 02:13
GIAPPONE/IL FUTURO DELLA DINASTIA PIÙ ANTICA DEL MONDO



La prima imperatrice



È dal 1771 che sul trono siedono solo maschi. Ma ora è la principessina Aiko l'erede legittima. Dovrà superare riti e pregiudizi millenari. Che spesso umiliano la donna



di Pio d'Emilia


C'è ancora tempo, per carità. Ma prima di rimettere sul trono una donna, il governo giapponese dovrebbe rimuovere una serie di assurdi ostacoli alla loro piena emancipazione. Da noi le donne vengono discriminate sul lavoro, in famiglia, nella società. Pensate: c'è una montagna, l'Omine-san, dove non possiamo metter piede. Alle donne è consentito di accedere solo fino al villaggio sottostante, Dorokawa, pieno di bordelli dove i pellegrini, stanchi per l'ascensione, vanno a rilassarsi...

Mizuho Fukushima, senatrice del piccolo, ma battagliero, Partito socialista, non ha peli sulla lingua. E neanche Mami Nakano, avvocato femminista, diventata famosa per aver ottenuto una storica sentenza (e un ricco risarcimento) a favore di un centinaio di impiegate di una banca, regolarmente escluse da ogni promozione e per anni vittime di mobbing. "Auguro alla principessina Aiko di salire sul trono", dice l'avvocato Nakano a 'L'espresso': "Nel frattempo mi piacerebbe che il congedo per maternità, le ferie e la liquidazione diventassero diritti esercitati, e non solo astrattamente previsti da un sistema che basa la sua stessa sopravvivenza sullo sfruttamento delle donne".

Il problema non è di piccolo conto. E riguarda, oltre che le misteriose liturgie di corte, l'intera società giapponese. Ancora permeata di un profondo misoginismo. Una società dove le donne mestruate sono invitate ad astenersi dal partecipare alle cerimonie ufficiali, in quanto impure. Vi sono stati nel recente passato casi di donne ministro alle quali è stato sconsigliato di inaugurare ponti, gallerie e palazzi. Un paio di anni fa, la governatrice di Osaka, Fusae Ota, dopo una lunga battaglia ha dovuto rinunciare all'idea di salire sul ring del torneo nazionale di sumo, una lotta nata per intrattenere gli dei e tutt'ora contrassegnata da elementi liturgici, per consegnare il trofeo al vincitore. Alle donne, siano esse operaie, ingegneri, sindacaliste, politiche o giornaliste, è assolutamente vietato accedere nei cantieri in corso. "Portano jella", spiega, senza tanti giri di parole, Keizo Tanigawa, sindacalista del Jichiro, il vecchio e combattivo sindacato degli edili. E non c'è verso di fargli cambiare idea.

A corte, nel frattempo, archiviato l'ultimo matrimonio di Stato, quello tra la principessa Sayako, unica figlia dell'attuale imperatore, e il 'commoner' Kuroda, semplice dipendente del Comune di Tokyo, i 1.200 funzionari del Kunaicho, l'impenetrabile Agenzia Imperiale, sono tornati al lavoro. Salvare l'Impero. O, quanto meno, la sua millenaria relazione con la Dea del Sole.

Ammesso che la principessina Aiko, che oggi ha quattro anni, salga sul trono del Crisantemo (ma ancora non concesso: una speciale commissione di saggi ha sancito la non incostituzionalità dell'ipotesi, ma è ancora riunita per trovare eventuali possibili altre soluzioni, compreso il ripescaggio di un vecchio ramo della famiglia imperiale), l'Impero più antico e misterioso del mondo rischia comunque l'estinzione. E prima di questa, un imbarazzante impasse. Già, perché pur avendo, senza troppa convinzione e coerenza, rinunciato alla condizione divina (peraltro posticcia: la divinità dell'Imperatore è frutto del nazionalismo del XIX secolo, non fonda le sue origini nell'antichità come molti testi storici, anche autorevoli, sostengono), l'imperatore del Giappone resta pur sempre a capo della chiesa scintoista. Una religione animista che venera centinaia di migliaia di kami (non solo esseri viventi, anche gli oggetti inanimati possono diventare oggetti di culto) e che prevede migliaia di cerimonie propiziatorie.

Gran parte di tali riti, un migliaio l'anno, debbono essere celebrati a corte dall'imperatore. Ma per la loro natura e contenuti, difficilmente possono essere officiati da una donna, il cui calendario biologico mal si concilia con quello, rigidissimo, della liturgia locale.

Per evitare l'obbligo di partecipare alle lunghe e noiose liturgie di palazzo, la clausola dell'indisposizione pare sia stata ripetutamente invocata, e forse abusata, dalla principessa Masako, moglie del principe ereditario Naruhito. Che però - si dice - è stata scoperta dai solerti funzionari e ora è costretta a riportare con precisione all'ufficio del gran ciambellano inizio e fine del ciclo. Di qui la lunga depressione di cui ancora soffre e che venne denunciata l'anno scorso con inusuale coraggio dal principe ereditario, che le espresse pubblica solidarietà. A causa della malattia, la principessa da un paio di anni ha disertato tutte le cerimonie ufficiali.

Il problema non è di semplice soluzione, anche perché una delle cerimonie in questione è quella, particolarmente sofisticata, del 'daijosai', o intronizzazione. Dura un'intera notte e prevede un complicato processo di trasferimento dell'anima imperiale (mitama) dal corpo dell'imperatore defunto a quello del successore. Una vera e propria transustanziazione ottenuta con l'intervento fisico della Dea del Sole Amaterasu, che a suo piacimento fa visita e giace con entrambi i suoi nipotini, in due apposite capanne allestite nel giardino del Palazzo: prima si intrattiene con il defunto, del quale aspira lo spirito; poi con il suo successore, nel cui corpo trasferisce il soffio divino. Una cerimonia per certi versi affascinante (magistralmente descritta da Fosco Maraini ne 'L'Agape Celeste'), che però finirebbe per aggiungere al già imbarazzante c té incestuoso un elemento di lesbismo. Un problema che in passato - il Giappone ha avuto una decina di imperatori femmine, l'ultima, Go Sakuramachi, nel 1771 - sembra sia stato risolto con l'abolizione tout court della cerimonia. A giudicare dalla pompa magna con la quale essa è stata reintrodotta di recente (l'ultima risale al 1989, e vi parteciparono un centinaio di capi di Stato e di governo, per l'Italia Giovanni Spadolini, che si addormentò subito), sembra difficile immaginare che possa essere di nuovo sospesa 'a divinis', in attesa di tempi migliori. Anche perché potrebbero non venire.

Ammesso che la principessa Aiko diventi imperatrice, la sola idea che possa sposarsi e fare dei figli con un cittadino comune è fuori discussione. E siccome sono oltre quarant'anni che non nasce un figlio maschio, la dinastia senza nome (i membri della casa imperiale non hanno uno stato di famiglia, non hanno un cognome, un documento di identità, non votano e non possono né citare né essere citati in tribunale) più antica del mondo rischia davvero di estinguersi.

Il problema del Giappone, infatti, non è quello di consentire a una donna di diventare imperatrice, ma quello di consentire una discendenza anche materna, come avviene per la maggior parte delle monarchie europee. Il che amputerebbe per sempre il mito dell'ininterrotta successione: l'attuale imperatore Akihito sarebbe infatti il 124 discendente di Jimmu, il primo imperatore messo sul trono dalla Dea del Sole.

In passato la questione si risolveva in due modi. Ricorrendo alle concubine più o meno ufficiali (il nonno dell'attuale imperatore Akihito, Taisho, era figlio di una concubina) o alla cooptazione di un maschietto tra le famiglie collaterali, che però dopo la guerra sono state ridotte allo stato civile. La situazione, dunque, sembra senza via d'uscita. E potrebbe addirittura assumere effetti dirompenti se la principessa Aiko decidesse di rompere con la tradizione e si sposasse, magari per amore.

A ben vedere, tutta la storia imperiale giapponese è declinata al femminile. A parte le imperatrici femmine, anche i maschietti si sono sempre distinti in settori come la poesia, la calligrafia, il bel canto, piuttosto che l'arte della guerra. La 'maschilizzazione' dell'impero, dopo un primo tentativo da parte dei monaci cinesi (per un certo periodo cambiarono persino sesso al sole, trasformando la dea Amaterasu nel burbero Tensio Dai Dsin) risale alla fine dell'800, quando, dopo l'apertura forzata del Paese, sotto la minaccia dei cannoni americani, l'effemminato imperatore Meiji, prolifico poeta (ha firmato oltre 9 mila poesie) e delicato pittore, fu costretto dai suoi consiglieri ad abbandonare il kimono e vestire l'uniforme militare, importata dalla Prussia. Una tradizione breve e tragica, che il nipote Hirohito fu ben felice di abbandonare quando, dopo esser stato graziato dal generale MacArthur, si rimise gli abiti civili e si dedicò agli studi sugli idrozoi.

Queste vicende, invero, non preoccupano più di tanto l'opinione pubblica giapponese, che dell'Impero e dei suoi problemi non sembra farsene grande cruccio. In base a un recente sondaggio, l'80 per cento degli intervistati dichiara di "voler bene" all'imperatore. Ma la stessa percentuale ammette di restare indifferente alle sorti dell'impero.



da: www.espressonline.it/eol/free/jsp/detail.jsp?m1s=null&m2s=mon&idCategory=4793&idContent...


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