Gabriel Garcia Marquez - Cent'Anni di Solitudine

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Soga
00mercoledì 22 febbraio 2006 18:52



Con la sua forza, il suo bagaglio di visioni e di prodigi, con la sua capacità di reinventare il mondo, Cent'anni di solitudine è il romanzo rivelazione che è valso al suo autore, nel 1982, l'assegnazione del premio Nobel, un capolavoro insuperato con il quale si inaugura la felice stagione della narrativa sudamericana, testimone di una cultura ancora alimentata da un forte e profondo rapporto con il mito. Marquez riesce a liberare dal folclore, dalla testimonianza naturalistica di maniera, dalla denuncia politica fine a se stessa un'ampia zona dell'immaginazione ispano-americana e la pienezza del patrimonio di valori di un intero continente, costruendo con Cent'anni di solitudine quel "romanzo ideale" che, secondo le sue parole, "è capace di rivoltare la realtà per mostrarne il rovescio".
-Giona-
00venerdì 24 febbraio 2006 18:56
Bellissimo. L'autore traccia la storia di una famiglia latinoamericana, nel villaggio immaginario di Macondo, lungo diverse generazioni (io me ne sono fatto persino l'albero genealogico). [SM=x278652]
Soga
00sabato 25 febbraio 2006 00:18
Sono d’accordo con te in tutto…
Lo stile mi colpisce tantissimo, il modo in cui è in grado di fare un casino totale, cambiando sempre argomento, ma risultando sempre chiaro, leggibile ed emozionante.
Il colonnello Aureliano Buendìa resta il personaggio più affascinante... insieme ad Amaranta
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La cosa più ridicola che mi è capitato di leggere fra i commenti in Internet è stata: “non mi sembra ‘sto gran capolavoro, molto meglio Harry Potter”
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cane...sciolto
00lunedì 27 febbraio 2006 23:17
Bellissimo, ho fatto un pò di casino con i Buendia... [SM=x278639] comunque veramente bello [SM=x278629]
Soga
00mercoledì 19 aprile 2006 22:32
Cent'Anni di Solitudine

Vi sono molti modi diversi di narrare una storia. La si può tessere, limpida e oggettiva come una cronaca, oppure darle confini incerti, come un mito.


Gabriel Garcia Marquez, nato ad Aracataca, in Colombia, nel 1927, racconta la storia della famiglia Buendia come se si collocasse in una dimensione alternativa a quella del tempo (e come se collocarsi in una dimensione alternativa al tempo fosse compiutamente possibile). I Buendia, dal loro capostipite fino all'ultimo, il bambino su cui si chiude il romanzo, sono una famiglia segnata da due fondamentali differenze: vi sono gli introversi e gli estroversi; i José Arcadio e gli Aureliani. Con lo strano gioco di sovrapposizioni e scambi che fa sì che i più indifferenti diventino improvvisamente i soli capaci di interpretare vigorosamente una causa, e i più energici rimangano in fondo sognatori dispersivi ed egoisti. E del tempo? Che ne è del tempo, dopo che abbia subito la trasformazione e l'incavatura cui lo obbliga lo straordinario stile di Marquez – tra l'altro ottimamente restituito nella traduzione di Enrico Cicogna per i classici moderni della Mondadori?


E' stato scritto che sulla varietà dei personaggi che il romanzo presenta al lettore, varietà veramente ampia, che viene negata soltanto nelle apparenze dalla ripetizione ossessiva degli stessi nomi, emerge la figura del colonnello Aureliano Buendia, il primo uomo nato a Macondo, il paese – un grumo di case, in verità – di cui il capostipite aveva gettato le fondamenta. Senza dubbio, quella di Arcadia Buendia, dapprima poeta, quindi guerriero celebre e spietato, è una delle figure più ritrose alle classificazioni; più contraddittorie ed emblematiche del romanzo, ma Ursula, la grande capostipite dei Buendia, in quanto portatrice della dimensione concentrica del tempo, gli sta al pari. Intrerpreta, anzi, l'essenza del libro in maniera più determinata e sottile: la scoperta della ciclicità del tempo, la negazione di ogni evoluzione, il ritorno, a precipizio, degli eventi su se stessi.
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