[ECO] [POL-IT] Il partito del sud alza il vessillo a termini imerese

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DarkWalker
00giovedì 9 luglio 2009 10:31
Il partito del Sud alza il vessillo di Termini
dall' inviato Giuseppe Oddo
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Giovedí 09 Luglio 2009
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TERMINI IMERESE. Ora protestano tutti: sindacati, partiti, sindaci, istituzioni, il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo. Tutti a fianco degli operai in sciopero contro la decisione della Fiat di dismettere la produzione di auto a Termini. Tutti a dire che i soldi non sono un problema e che sta per riversarsi in Sicilia un fiume di denaro pronto per essere speso solo che l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, accetti di discutere con le parti sociali. Ma cosa è stato fatto per individuare una soluzione ai problemi di uno stabilimento che ha costi non più sostenibili ed era destinato a scomparire già nel 2002? Dove sono stati in tutto questo tempo la Regione e le istituzioni che ora promettono soldi?

Nel 2002 la fabbrica, che occupava 4.500 persone, restò chiusa per circa 6 mesi. A Torino avevano deciso di sbaraccare tutto. Se lo ricordano bene i 2.300 dipendenti sopravvissuti a quella stagione, che continuano a ricevere un salario dalla Fiat e dall'indotto. Circa la metà sono termitani. Altri arrivano dai paesi vicini: ex pescatori, muratori, contadini, artigiani, che fino a che hanno potuto hanno mantenuto il piede in due scarpe; come Peppino, un falegname di Castelbuono che ha continuato a fare lavoretti a tempo perso finché le forze lo hanno aiutato.

Allora il peggio fu evitato. La Fiat era in stato di dissesto, mentre con Marchionne ha superato quella fase ed è sbarcata negli Usa grazie a un accordo con Chrysler che è una formidabile scommessa industriale. Il gruppo nel 2002 era sotto il controllo delle banche creditrici. Il governo Berlusconi stava addosso alla famiglia Agnelli. Così il vertice del Lingotto accettò di modificare il piano industriale in cambio di prepensionamenti, denaro pubblico per la formazione, fondi europei, protezione dal sistema creditizio. Lo stabilimento diTermini – che negli anni '70 aveva sfornato la 500 e la 126, per poi passare alla Panda e alla Punto – fu riaperto e la produzione della Punto gradualmente cessata e sostituita con quella della Lancia Ypsilon.

La maggior parte dei componenti arriva però da Melfi. A Termini le parti dell'auto sono saldate, verniciate e montate. «Questo è uno stabilimento-polmone», spiega Roberto Mastrosimone, leader sindacale di Termini, segretario della sezione della Fiom-Cgil. «Quando il mercato cresce – aggiunge – Termini aiuta il gruppo a produrre di più, quando va giù è la prima fabbrica a ridurre la produzione e a mettere in cassa integrazione». Oggi da Termini escono 350 auto al giorno contro le 800 del 2001. «Lo stabilimento non è più competitivo – prosegue Mastrosimone – ma non perché non abbia le professionalità o le capacità, ma perché la Fiat sta valutando di trasferire le attività in aree a più basso costo del lavoro, come la Serbia. Così però rischiamo di fare da apripista a una delocalizzazione di portata nazionale».

Con l'arrivo della recessione e della crisi dell'auto, che ha portato sull'orlo del crack giganti quali Gm e Chrysler, un impianto come questo, con costi fuori mercato e un indotto povero, diventa una palla al piede. A parte i 1.400 dipendenti diretti e i 350 di società come Fiat Service, Global Value, Fenice, Kuehene Nagel, Sirio, le cui attività erano un tempo inglobate nello stabilimento, le aziende dell'indotto si contano su una mano. Fino al 2001 erano cinque e vi lavoravano mille persone. Oggi sono tre e hanno dimezzato il personale: una ha chiuso, un'altra è stata assorbita da Fiat ed è diventata Magneti Marelli Plastic, un'altra ancora, la Lear, è americana, e la Bn Sud, che si occupa di verniciatura dei paraurti, è di Torino. L'unico indotto locale è quello delle imprese di pulizia, della gestione della mensa, degli autotrasportatori, intorno a cui ruota un altro centinaio di persone. Tecnologie, innovazione e ricerca non se ne facevano prima e non se ne fanno nemmeno oggi nell'area di Termini. In quasi quarantanni la Fiat non ha generato niente, nessuna attività che abbia gambe per camminare e passare lo Stretto, nonostante Termini disti mezz'ora dall'università di Palermo e dai palazzi del governo regionale.

E qui entrano in gioco le responsabilità della politica. Il neoletto sindaco di Termini, Salvatore Burrafato, che in questi giorni va e viene da palazzo d'Orleans, sede della presidenza della Regione, è convinto che l'ostacolo alla soluzione dei problemi non siano i soldi. «Con chiunque abbia parlato mi è stato detto che le risorse al servizio di questa causa ci sono e sono esigibili. Nella spesa regionale per il 2007-2013 – dice – vi sono 360 milioni di fondi comunitari che vanno utilizzati entro il 31 dicembre. Vi sarebbero tutte le condizioni per chiudere la partita. La difficoltà sta nel convincere la Fiat a discutere, nel sapere cosa vuole». Lo ha detto anche Gianfranco Micciché, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con delega al Cipe, nonché vicesindaco di Termini: il problema degli operai – ha dichiarato in consiglio comunale – non è quello di scioperare ma di stanare il vertice torinese, capire ciò che realmente vuole. Apriti cielo! È venuto giù il finimondo.

Burrafato ricorda l'incontro del 18 giugno a Palazzo Chigi tra Marchionne e i vertici del sindacato, alla presenza di Berlusconi. «L'amministratore delegato della Fiat ha detto in quella sede che il gruppo non avrebbe chiuso stabilimenti e che quello di Termini sarebbe stato destinato ad altre produzioni, senza specificare quali. Dopo l'incontro, il Cipe ha deciso di sostenere la nostra area e quella di Pomigliano con un investimento di 300 milioni e la Regione ha concesso il benestare al finanziamento dell'interporto di Termini, con quasi 80 milioni di copertura finanziaria. Ma Marchionne – prosegue Burrafato – ha risposto che lo stabilimento di Termini non ha ragione di esistere nemmeno se la Regione mette le risorse per le infrastrutture, bloccando ogni timido tentativo delle istituzioni di voltare pagina. Far cambiare idea alla Fiat sarà difficile, ma possiamo tentarci».

Burrafato piace ai termitani. È persona pulita. Ha dedicato la vittoria al padre, Antonino, il vicebrigadiere di polizia penitenziaria ucciso dalla mafia per non avere avuto riguardi verso Leoluca Bagarella mentre era detenuto nel carcere di Termini. Il boss, cognato di Totò Riina, lo fece eliminare il 29 giugno 1982, la città era deserta, in tv scorrevano le immagini di Italia-Argentina. A ricordare l'omicidio, una lapide in piazza Sant'Antonio, luogo dell'esecuzione. Quarantaquattro anni a settembre, Burrafato rappresenta il nuovo corso della politica siciliana. Sganciatosi del Partito democratico, è stato eletto a capo di una lista sostenuta dal Pdl (dalla corrente di Miccichè, in contrapposizione all'area Schifani-Alfano), dal Pd (autorevolmente rappresentato a Termini dal senatore Giuseppe Lumìa) e dal Movimento per l'autonomia di Lombardo, a cui oggi è vicino. È una delle giovani promesse del Partito del Sud, le cui prove generali sono avvenute giovedì 2 luglio a Palermo durante un affollato e vivace dibattito tra Antonello Cracolìci, capogruppo del Pd alla Regione, e lo stesso Miccichè.

Ma questo governo regionale ha la forza di porre condizioni alla Fiat? La casa torinese, pur avendo chiuso il primo trimestre 2009 con un utile operativo netto negativo, ha riacquistato credibilità e potere negoziale, soprattutto dopo l'intesa con Chrysler. E non sembra che, dopo l'estenuante lavorìo per mettere insieme la nuova giunta, Lombardo sia in grado di imporre il suo punto di vista. Il neoassessore all'Industria, Marco Venturi, ha appena annunciato la disponibilità della Regione ha stanziare 150 milioni per l'area di Termini. Ma la Fiat non sente ragioni. Neanche il sindacato appare compatto. «All'incontro del 18 a Palazzo Chigi – dicono a Termini – a parte qualche puntatina di piedi di Cgil e Fiom non abbiamo percepito la voglia di portare avanti tutti insieme una battaglia per Termini».

Anche se non c'è rassegnazione tra gli operai e il clima continua ad essere battagliero, la sensazione è che Torino non indietreggerà d'un passo. L'intenzione di porre fine alla produzione di auto nello stabilimento termitano è stata d'altro canto ribadita ancora ieri dai dirigenti della Fiat durante un nuovo incontro con i sindacati e i rappresentanti della Regione Sicilia avvenuto al ministero dello Sviluppo; incontro a cui Marchionne si è ben guardato dal presenziare.

Non sarà certo l'interporto a far cambiare idea alla Fiat. Un noto imprenditore palermitano che non vuole apparire ritiene questa infrastruttura retroportuale un'opera inutile, un'invenzione della politica per alimentare le speranze dei termitani. «L'interporto senza la Fiat non serve a nessuno», sostiene. Ci vorrebbe un'idea di politica industriale per Termini. Le potenzialità ci sono: il porto; la centrale elettrica; l'autostrada per Palermo, Catania e Messina; le terme. Ma i vertici della Regione, in passato, non hanno mai espresso interesse per lo sviluppo industriale: non genera voti. Si vedrà se con Lombardo cambierà qualcosa. La politica siciliana "scopre" la gravità della crisi di Termini solo dopo che la Fiat ha fatto esplodere il problema, allo stesso modo in cui il Comune di Palermo "si accorge" del dissesto dell'Amia solo dopo che la città è stata invasa dai rifiuti. È il più classico dei metodi di (non) governo della classe dirigente siciliana. In condizioni di emergenza i politici promettono tutto ciò che è utile ad accendere speranze che alimentano voti. Quando l'emergenza cessa, tutto è abbandonato al proprio destino, e si ricomincia.
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